DAGOREPORT - BENVENUTI AL “CAPODANNO DA TONY”! IL CASO EFFE HA FATTO DEFLAGRARE QUEL MANICOMIO DI…
Linda Laura Sabbadini per www.lastampa.it
Il caso Weinstein a Hollywood, con tante donne dello spettacolo vittime di questo odioso atto di potere sessista, ha richiamato l’attenzione su una forma di violenza di cui si parla ancora pochissimo: il ricatto sessuale sul lavoro. È una forma di violenza odiosa, umiliante per le donne, ma assai diffusa. In sostanza, l’uomo sfrutta la sua posizione di vantaggio o di potere, per ottenere prestazioni sessuali da donne in difficoltà o da donne che vogliono mettersi in gioco, per progredire nella carriera.
cara delevingne harvey weinstein
Non succede solo negli Stati Uniti. Non succede solo nel mondo dello spettacolo. I ricatti sessuali sul lavoro sono un’orribile realtà anche nel nostro Paese, misurata dall’Istat nel 2015-2016. Colpiscono tantissime donne, più di un milione li ha subiti nel corso della vita, quando cercavano lavoro, quando volevano fare carriera o semplicemente svolgevano il loro lavoro da libere professioniste o imprenditrici.
L’IDENTIKIT DELLE VITTIME
Le indagini dell’Istat passate evidenziavano che subiscono ricatti sessuali più le disoccupate che le occupate, perché più vulnerabili, avendo bisogno di lavorare; più le indipendenti che le dipendenti, probabilmente perché vendono prodotti e servizi a grandi acquirenti, più frequentemente maschi che possono approfittarsene; più le impiegate e dirigenti che le operaie, perché più coinvolte in percorsi di carriera, per i quali devono sottoporsi al giudizio di superiori, di solito uomini.
RELAZIONI ASIMMETRICHE
E ci sono uomini che sfruttano le situazioni asimmetriche a sfavore delle donne, abusano del potere che hanno, abusando del corpo e dell’anima delle donne. «Sono abituato a fare così, non fare storie» ordinava Weinstein, come a dire, tu sei la mia preda, obbedisci, dispongo io di te. È la stessa logica del possesso che porta un marito a stuprare sua moglie, un imprenditore ad abusare della segretaria e un direttore a ricattare una funzionaria, aspirante dirigente.
È terribile, anche perché le donne vivono questo tipo di violenza ancora più in solitudine. Solo il 20% ne parla con qualcuno, di solito colleghi di ufficio. Solo lo 0,7% denuncia. D’altra parte chi mai sarebbe disponibile a testimoniare? Nessuno. Chi si esporrebbe alle ritorsioni del capo? Anche i colleghi più vicini alla donna si sentirebbero ricattati e vedrebbero in pericolo il loro stesso posto di lavoro.
ITALIA INADEMPIENTE
C’è di più. Siamo inadempienti con il dettato della convenzione di Istanbul. Non abbiamo una norma specifica che riguarda i ricatti sessuali sul lavoro. Lo afferma anche il presidente di Sezione del Tribunale di Milano Fabio Roia: «Si può utilizzare l’art. 572 del codice penale, ma solo per le piccole imprese a conduzione familiare. Altrimenti bisogna rifarsi alla legge sulla violenza sessuale del 1996.
Ma ciò impedisce di punire tutta quella parte di violenza che ha a che fare con le allusioni pesanti contro la donna, quotidiane, continue, che fanno intravedere che lei è consenziente e che è di facili costumi e la isolano dagli altri colleghi».
LA RINUNCIA AL LAVORO
È la tecnica per mettere in un angolo la donna per ricavarne di più in termini sessuali costringendola a stare al gioco. La maggior parte delle donne fugge, finisce per lasciare il lavoro, sfinita dal clima insopportabile. Ma chi non può permetterselo e magari ha da sfamare anche i suoi bambini?
E così ci troviamo nel paradosso del nostro Paese, che ha una legge importante come quella del 1996, che vieta che la donna da vittima si trasformi in imputata, ma che spesso nella realtà dei processi viene disattesa, provocando un’ulteriore violenza sulla donna. Ma nello stesso tempo su reati come questo, così gravi, non ha una fattispecie specifica. Perché non ci si accorda trasversalmente per farla?
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