DAGOREPORT - NON TUTTO IL TRUMP VIENE PER NUOCERE: L’APPROCCIO MUSCOLARE DEL TYCOON IN POLITICA…
Giulia Villoresi per “il Venerdì - la Repubblica”
Accade che le spie in pensione scrivano romanzi. Ma che pubblichino un saggio sui servizi segreti è un' assoluta rarità. Come tale va considerato il libro di una piccola casa editrice romana, La Lepre edizioni, che «per una serie di fortuite coincidenze» si è trovata per le mani una vera chicca editoriale, Spie?, un contributo alla comprensione del "sistema intelligence" - con un occhio di riguardo alla prospettiva italiana - scritto da un insider di alto profilo, Paolo Salvatori, ex direttore del contro-terrorismo e della struttura per il contrasto alla proliferazione delle armi non convenzionali per conto dei servizi segreti italiani.
Si tratta di una pubblicazione "autorizzata", come attestano la prefazione di Robert Gorelick, capo della Cia in Italia durante l'amministrazione Bush jr, e la postfazione dell'attuale capo dell' intelligence italiana Alberto Manenti.
In questo libro, dunque, il lettore non troverà indiscrezioni, ma potrà soddisfare molte curiosità e rivedere alcuni stereotipi, non necessariamente in favore di scenari meno intriganti. Ci si potrebbe chiedere, innanzi tutto, che aspetto abbia una spia.
Salvatori risponderebbe: dipende dal tipo di spia. Ci sono le «fonti»; ci sono i cosiddetti walk in, cioè quelli che si presentano alle ambasciate dichiarando di voler rivelare informazioni sensibili; ci sono i «ricercatori di informazioni» e quelli che le analizzano chiusi in un ufficio. E poi ci sono quelli che gestiscono spie.
Tecnicamente, i veri agenti segreti. Salvatori apparteneva a quest'ultima categoria.
Sessantaquattro anni ben portati, una moglie e due figli, un'aria informale e addirittura ingenua che in altri contesti non desterebbe alcun sospetto.
Come si diventa agenti segreti?
«È l'organizzazione che ti sceglie, non il contrario. Io mi occupavo di commercio internazionale all'interno della macchina statale, in particolare di armi e alta tecnologia. All'inizio degli anni 80 è stato individuato il mio profilo e ho cominciato a svolgere per il servizio lo stesso tipo di attività, solo con metodologie non amministrative. Poi sono entrato nel settore operativo, cioè ricerca e analisi di informazioni».
Che informazioni?
«Informazioni riservate di interesse nazionale. È di queste che si occupano i servizi. L'intelligence, a differenza del servizio di sicurezza interna, opera all'estero, in Stati nemici o più o meno amici».
In quanti Paesi opera l'Italia?
«Questo è il segreto dei segreti. Nessun servizio ammetterebbe di avere agenti all'estero».
A proposito di segreti: le hanno mai fatto la macchina della verità?
«Non posso rispondere a domande così precise».
Restiamo nella teoria. Che qualità deve avere una spia?
«Potrei dire le qualità dell' attore, se non fosse che l' attore è un estroverso, il suo piacere di comunicare è reale, mentre la spia deve sapersi estraniare emotivamente. Quindi direi l'empatia dell' attore e il distacco dell' entomologo».
In una parola, schizofrenico.
«Esattamente».
Esistono tecniche per imparare a esserlo?
«Sì. L'addestramento è un percorso parallelo all' attività professionale».
E a cosa vi addestrano, nello specifico?
«Non posso essere specifico».
Vi insegnano a sparare?
«Saper sparare non è essenziale. Tanto per intenderci, James Bond racchiude in una sola figura tutte le tipologie di agente. In realtà le condizioni tipiche di questo lavoro sono la solitudine e l'attesa. Si può restare ore in una stanza d'albergo aspettando una telefonata che magari non arriverà mai. E la tensione viene soprattutto dalla coscienza di non poter commettere errori. Non è una vita semplice».
E infatti, come spiega nel libro, le intelligence attuano un costante monitoraggio sullo «stato di soddisfazione» dei dipendenti, per individuare eventuali malesseri che potrebbero renderli vulnerabili alle lusinghe di servizi avversari.
«È una prassi delle intelligence avanzate. Che a tratti può risultare intrusiva».
Immagino non possa essere più specifico.
«Per esempio venendo sottoposti periodicamente alla macchina della verità».
Quindi gliel'hanno fatta, la macchina della verità.
«Mi sta chiedendo se siamo un'intelligence avanzata?».
Mettiamola così.
«La risposta attiene a uno dei motivi per cui ho scritto il libro. Nei servizi italiani è in corso un processo di sviluppo e oggi ci troviamo a metà del guado. Per la prima volta è stato nominato direttore dell'Aise (l'Agenzia informazioni e sicurezza esterna, che ha sostituito il Sismi con la riforma dei servizi del 2007) un professionista proveniente dall' intelligence (Alberto Manenti), invece che un ammiraglio della Marina o un generale dei Carabinieri. È una rivoluzione da cui potrebbe uscire un'intelligence davvero avanzata. Ma servono altre riforme. In questo senso, il mio libro si propone anche come spunto per gli addetti ai lavori».
Si spieghi meglio.
«In Italia manca una cultura d'intelligence. E non mi riferisco solo ai cittadini, ma agli stessi membri dei servizi, ai politici e ai magistrati. Se si conoscesse meglio la materia, l'opinione pubblica potrebbe contribuire in modo significativo al dibattito su temi essenziali come la sicurezza o la privacy. E chi legifera, d' altro canto, potrebbe migliorare l'organizzazione dei servizi, rendendoli finalmente efficienti».
Qual è l'intelligence più efficiente?
«Quella inglese. Lavorano tutti nella stessa direzione. Uno Stato perfettamente coordinato che ha nel servizio la sua punta di diamante».
È possibile dire che ogni intelligence ha la sua personalità, un po' come ogni popolo?
«Assolutamente sì».
Allora le propongo un gioco: mi dia un aggettivo per i servizi italiani.
«Fantasiosi».
I francesi?
«Incomprensibili. Hanno linee di azione difficili da inquadrare».
I russi?
«Vecchi. Lavorano come se il mondo fosse ancora quello della Guerra Fredda».
I tedeschi?
«Ipertecnologici».
Gli israeliani?
«Diciamo determinati».
E ora la Cia.
«Sovrana. Oltre a condurre le proprie operazioni, presiede a quelle di quasi tutte le agenzie che condividono gli stessi valori».
Sede dell\'MI5 servizi segreti inglesi
Una domanda che molti si fanno: perché in Italia non ci sono stati attentati?
«La polizia risponderebbe: perché abbiamo pochi musulmani con cittadinanza italiana, quindi appena individuiamo un soggetto pericoloso possiamo espellerlo, e questo impedisce la formazione di cellule di ispirazione jihadista».
I musulmani italiani, e probabilmente non solo loro, non apprezzeranno questa risposta.
«La jihad si sta de-globalizzando: c'è una jihad belga, una francese, e così via.
Per questo, se dal punto vista politico lo ius soli può essere considerato un doveroso atto di civiltà, dal punto di vista tecnico si rivelerebbe un problema».
A «saper sparare non è essenziale. più importante è riuscire a sopportare la solitudine» italia tutto sotto controllo Paolo Salvatori è un agente dei servizi segreti, ora in pensione.
Ha raccolto la sua esperienza in un libro. Qui ci dà alcune dritte sul suo lavoro. Con vari omissis.
Ultimi Dagoreport
DAGOREPORT – VIVENDI VENDE? I CONTATTI TRA BOLLORÉ E IL FONDO BRITANNICO CVC VANNO AVANTI DA TRE…
FLASH - SIETE CURIOSI DI CONOSCERE QUALI SONO STATI I MINISTRI CHE PIÙ HANNO SPINTO PER VEDERSI…
DAGOREPORT – TOH! S’È APPANNATA L’EMINENZA AZZURRINA - IL VENTO DEL POTERE E' CAMBIATO PER GIANNI…
DAGOREPORT – AVANTI, MIEI PRODI: CHI SARÀ IL FEDERATORE DEL CENTRO? IL “MORTADELLA” SI STA DANDO UN…
COME MAI ALLA DUCETTA È PARTITO L’EMBOLO CONTRO PRODI? PERCHÉ IL PROF HA MESSO IL DITONE NELLA…