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Francesco Creazzo per “la Stampa”
Ha le lacrime agli occhi Maria Antonietta Rositani. Lacrime di gioia, di determinazione, di rabbia: per la prima volta dopo 20 mesi, ieri, è uscita dall' inferno cui è stata condannata dall' ex marito, Ciro Russo. L' uomo le aveva dato fuoco in pieno giorno, in una via appena fuori dal centro di Reggio Calabria. Ieri è stata dimessa, dopo l' ennesima operazione di ricostruzione della pelle, dal Grande Ospedale Metropolitano di Reggio Calabria. Prima, più di un anno al centro grandi ustionati di Bari dove più volte è stata tra la vita e la morte.
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La "colpa" di Maria Antonietta Rositani era quella di essere una donna libera, cosa che a Russo non piaceva.
L' uomo, per anni, aveva fortemente ostacolato la normalissima vita della moglie, in un primo momento attraverso molestie psicologiche e verbali, poi tramite abusi fisici e aggressioni. In uno degli ultimi episodi prima della denuncia, l' uomo aveva aggredito anche la figlia, oggi ventenne. Fu allora, nel 2017, che la donna decise per la prima volta di denunciare, una denuncia che però cadde nel vuoto, fino ad una nuova aggressione, l' anno successivo: in quell' occasione, però, Russo fu arrestato in flagranza di reato e condannato a 3 anni e due mesi da scontare ai domiciliari ad Ercolano, sua città d' origine.
Fu proprio dalla cittadina campana che, evadendo dalla detenzione, Ciro Russo partì nella notte tra l' 11 e il 12 marzo del 2019. Tornava a Reggio, a "farla pagare" alla moglie.
Comprò 5 bottiglie di benzina, aspettò che Maria Antonietta lasciasse i figli a scuola e poi la accerchiò con l' auto, dando fuoco prima al parabrezza e poi, una volta uscita dall' auto, alla donna.
Le gridava «adesso muori» mentre lei si rotolava in una pozzanghera cercando di spegnere le fiamme che la avvolgevano. Il 13 luglio scorso, il tribunale di Reggio Calabria ha emanato la sentenza di primo grado contro Russo: condannato a 18 anni di reclusione.
Ieri, però, la più grande vittoria di Maria Antonietta Rositani e di Annie, la figlia: le dimissioni dall' ospedale dopo 20 mesi di calvario e di lotta. Innumerevoli volte sotto i ferri del chirurgo, momenti in cui sembrava che la morte sarebbe arrivata presto.
L' intera comunità reggina si è stretta attorno a lei che, in questi mesi, è diventata un simbolo della lotta alla violenza di genere e non ha mai smesso, quando la sua salute glielo ha consentito, di far sentire la sua voce seppur da un letto di ospedale.
Fino a ieri mattina, fino al ritorno a casa.
Nelle poche parole alle televisioni locali tutto l' orgoglio di avercela fatta, ma anche la rabbia e l' appello alle donne che subiscono violenza: «Mi sembra un sogno. Un bellissimo sogno per il quale posso solo dire grazie a Dio perché mi ha dato la forza e mi ha permesso di affrontare tutto questo. Adesso l' unica cosa che voglio è a fare la mamma».
Il ringraziamento ai medici, al padre e ai figli che le sono sempre stati accanto, poi l' appello: «A tutte le donne che subiscono violenza voglio dire di non permettere mai a nessuno uomo di far loro vivere quello che è successo a me. Mai, non consentitelo mai perché la vita è bella e meritate di viverla».
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