VIDEO-FLASH! - L’ARRIVO DI CECILIA SALA NELLA SUA CASA A ROMA. IN AUTO INSIEME AL COMPAGNO, DANIELE…
Corrado Zunino per "la Repubblica"
Come no, si proietta ancora "Maciste contro i mostri" (1962, i primi trucchi di Carlo Rambaldi). Pure "Arrivano i Titani" (1960, questo con Giuliano Gemma, storie di re di Creta e dei, il mito dell' invulnerabilità).
Poi i film esistenziali di Ingmar Bergman, l' umorismo rocambole di Louis de Funès, ovviamente il "Gesù di Nazareth" di Franco Zeffirelli e, meno ovviamente, "Il Vangelo secondo Matteo" di Pier Paolo Pasolini. Raramente si vede una prima visione. Comunque mai violenta, mai hard. Sì, i cinema parrocchiali sono ancora tra noi, dopo cent' anni di vita. Crescono e promuovono cultura cinematografica.
Medicano periferie urbane dimenticate da tutto il resto e anche la provincia lasciata per ragioni di mercato da major e grande distribuzione. Ora si chiamano Sale della comunità e una ricerca dell' Università Cattolica racconta che sono presenti in tutta Italia nel numero non banale di 804 (censimento 2016 dell' Associazione cattolica esercenti cinema).
Risalta, il numero, se confrontato con i cinema "laici" viventi: l' ultimo dato Cinetel-Siae segnala infatti 1.202 strutture (e oltre 3.400 schermi) per il comparto commerciale. Ecco, ogni tre sale cinematografiche, in Italia, ce ne sono due parrocchiali. Lo stesso rapporto che c' era negli Anni Sessanta quando l' inizio dell' affermazione della televisione segnò anche l' inizio della crisi del cinema.
E se le sale commerciali negli ultimi decenni conoscono una lenta e progressiva contrazione, i "parrocchiali" invece crescono. Le sale della comunità sono, da sempre, collocate al Nord. In particolare tra Lombardia, Pimonte e Liguria: sei su dieci vivono qui. Negli ultimi dieci anni, però, stanno crescendo al Centro e al Sud. La collocazione territoriale spiega anche le due funzioni centrali della sala di parrocchia.
Innanzitutto, la necessità di socialità in provincia: l' 86 per cento dei cinema resiste in realtà sotto i centomila abitanti. E nelle città sopra i centomila, il 65 per cento delle sale è in periferia. «Riempiono un vuoto esistente», dicono i ricercatori della Cattolica.
Più della metà delle Sale della comunità sono sopravvissute alla fase di contrazione dell' esercizio cinematografico degli Anni Ottanta, molte hanno riaperto seguendo una nota pastorale del 1999 che spingeva sulla funzione educativa del mezzo. Il sette per cento è attivo da oltre ottant' anni.
Tra queste, il Cineteatro Moderno di Castel Bolognese, il Silvio Pellico di Saronno (Varese), il Sant' Andrea e il San Filippo Neri di Novara e Alessandria, il Cinema delle Provincie di Roma. «In questi anni ho partecipato a celebrazioni per un secolo di vita di alcune sale», spiega Francesco Giraldo, presidente dell' Acec.
La maggior parte dei cinema parrocchiali tutt' oggi è monoschermo, ma - altra sorpresa - ci sono multisala della comunità e persino multiplex (oltre sette schermi). E i gestori dei cinema parrocchiali - più laici che religiosi, spesso pensionati o impiegati - ritengono la struttura «economicamente reddituale».
Il prezzo dei biglietto viaggia tra 5 e 7 euro. Mariagrazia Fanchi, uno dei due autori della ricerca, dice: «Agli inizi degli Anni '90, con i multiplex che crescevano nei centri commerciali delle città come funghi e proiettavano solo film americani, i cinema parrocchiali avevano una certezza: ci faranno chiudere. Le cose sono andate diversamente e il digitale è stato decisivo.
Grazie ai bandi regionali per la digitalizzazione degli schermi queste sale hanno trovato finanziamenti che diversamente non avrebbero mai reperito ». Il momento è felice: la Nuova Legge Cinema riordina il settore e prevede un piano straordinario che garantirà 120 milioni di euro in cinque anni.
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