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Milena Gabanelli e Simona Ravizza per il "Corriere della Sera"
Dall’inizio dell’epidemia al 10 gennaio sono stati comunicati con i bollettini quotidiani del Ministero della Salute 138.099 decessi Covid. C’è una domanda che si pongono in tanti: questi numeri sono gonfiati?
Il dubbio nasce per come vengono conteggiati i decessi. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, che recepisce le raccomandazioni dell’Oms, un decesso è da attribuire al Covid quando contemporaneamente sono presenti le seguenti condizioni (qui il documento): tampone positivo al momento della morte, un quadro clinico compatibile con i sintomi del virus (febbre, tosse, dispnea, brividi, tremore, dolori muscolari, cefalea, mal di gola, perdita acuta di olfatto o gusto), assenza di recupero clinico tra la malattia e la morte, e assenza di una chiara causa di morte diversa dall’infezione. Il problema riguarda prevalentemente quest’ultimo punto.
In base alle regole attuali, se una persona muore durante un incidente stradale mentre è positivo, non viene evidentemente conteggiato come morto Covid; ma se è affetto da patologia oncologica, cardiovascolare, renale, epatica, oppure ha il diabete, e cessa di vivere mentre è positivo, rientra nella contabilità dei morti Covid.
Il ragionamento che accompagna le disposizioni è questo: «Le patologie preesistenti possono aver favorito o predisposto a un decorso negativo dell’infezione» ma il Covid è determinante.
Questa spiegazione, però, spesso non viene ritenuta convincente e porta a considerare il numero dei morti come sovrastimato. Ma quale potrebbe essere l’interesse? Per i maliziosi è una questione legata ai rimborsi. Il 12 agosto 2021, con effetto retroattivo, è stato riconosciuto agli ospedali un incremento tariffario massimo per ciascun episodio di ricovero superiore a un giorno di 3.713 euro per l’area medica, e di 9.697 euro per la terapia intensiva.
Incrementi giustissimi visto il peso di un paziente Covid su tutta l’organizzazione ospedaliera. Certo, nessuno può escludere la tentazione di attribuire il ricovero e il decesso al Covid, anche se magari il paziente nel frattempo è guarito ed il decesso è imputabile ad altra patologia pregressa.
Chi muore
Premesso che una verità assoluta, fino a prova contraria, è indimostrabile, vediamo cosa dice il «Report sulle caratteristiche dei pazienti deceduti positivi a Sars-CoV-2 in Italia» pubblicato ieri, 26 gennaio, dall’Istituto superiore di Sanità.
Dei 138.099 decessi Covid registrati dall’inizio dell’epidemia al 10 gennaio, solo 1.743 sono sotto i 50 anni (1,3%), di cui 37 sotto i 19 anni. Tra i 50 e i 69 anni sono 19.511 (14,1%); sopra i 70 anni 116.840 (84,6%), di cui 55.338 tra gli 80 e gli 89 anni, e 26.722 over 90. L’età mediana (che si differenzia dalla media matematica perché è il valore intermedio tra gli estremi) dei morti è di 82 anni, mentre quella di tutti i contagiati è di 43 anni.
Per i cinici che pensano: «In fondo muoiono solo gli anziani», come vediamo non è vero, in secondo luogo sappiano che l’aspettativa di vita in Italia è di 83,6 anni, ma come mostrano le tabelle Istat, chi ha tra gli 80 e gli 84 anni, e dunque è arrivato fino a lì, ha ancora un’aspettativa di sopravvivenza di 9 anni. Vuol dire che senza la falcidia del virus, avrebbero potuto campare un bel po’.
Malattie pregresse: quanto contano
In base a un campione di 8.428 cartelle cliniche, i dati dell’Iss mostrano che chi è morto mentre aveva il Covid senza nessun’altra patologia concomitante è solo il 2,9% dei deceduti, con una patologia l’11,3%, con 2 il 17,9% e con tre o più il 67,8%. La questione qui è: il paziente è morto con il Covid o per il Covid?
Abbiamo già visto come la scelta dell’Iss, in linea con le disposizioni internazionali, è di conteggiare come morto di Covid anche, per dire, un malato oncologico con polmonite e tampone positivo. Questo non dimostra che i dati sono gonfiati. Il fatto che il 97,1% dei deceduti avesse anche altre patologie, non vuol dire che sarebbero comunque passati a miglior vita in breve tempo.
definizione di decesso per covid
Basti pensare che in Italia, su una popolazione di quasi 51 milioni di persone con più di 18 anni, oltre 14 milioni convivono con una patologia cronica, e di questi 8,4 milioni sono ultra 65 enni. Si tratta di persone fragili, e quindi più esposte al rischio morte se contraggono il virus.
Dei deceduti invece fra i 16 e 59 anni, il 9,5% non aveva patologie concomitanti, come non le aveva il 6,8% tra 60 e 69 anni, il 3,1% tra 70 e 79, e l’1,4% di over 80. Più sale l’età, meno persone muoiono senza avere altre malattie, semplicemente perché l’invecchiamento porta con sé patologie.
Il ruolo dei vaccini
confronto tra vaccinati e no vax
Il confronto dei decessi tra i non vaccinati e i vaccinati ci può aiutare a capire ancora meglio quanto il Covid possa essere in realtà determinante come causa di morte anche in presenza di patologie pregresse.
L’analisi dell’Iss è fatta su un campione di 1.642 cartelle cliniche raccolte tra febbraio 2021 e il 10 gennaio 2022, periodo nel quale complessivamente sono decedute 46.572 persone, di cui 39.292 non vaccinate (84%) e 5.345 con ciclo completo.
Il 3% dei non vaccinati è morto senza avere altre patologie contro lo 0,6% dei vaccinati con ciclo completo; con una patologia il 10,2% dei non vaccinati contro il 6,2% dei vaccinati; con due patologie il 17% dei non vaccinati contro il 9,5% dei vaccinati, con 3 o più patologie il 69% dei non vaccinati contro l’83,7% dei vaccinati con ciclo completo.
A parità di condizioni di salute, con una/due patologie se non sono vaccinato, rischio di più. Fatto 100 il numero dei deceduti vaccinati, dunque, le morti si concentrano sui pazienti con tre e più malattie. Per quel che riguarda l’età media dei decessi fra i non vaccinati è di 78,6 anni, mentre nei vaccinati 84,7. Vuol dire che anche in persone già ammalate, il Covid può togliere 6 anni di vita.
Dove si muore
Finalmente i dati dell’Iss sembrano fare chiarezza. Il 23,8% è deceduto in un reparto di terapia intensiva, il 58,5% nei reparti Covid ordinari, il 17,7%non è stato ricoverato, può essere deceduto dunque nella sua abitazione, in una casa di riposo o in un hospice.
Qui è determinate capire cosa succede a seconda dell’età. Scrive l’Iss: «Sotto gli 80 anni, il 44% è stato ricoverato in un reparto di terapia intensiva, il 42,3% in ospedale ma non in terapia intensiva, il 13,7% in nessuno dei due. Di contro, negli over 80, l’8,2% è stato ricoverato in un reparto di terapia intensiva, il 71,1% in ospedale ma non in terapia intensiva, e il 20,7% in nessuno dei due».
L’età media di chi muore dopo essere stato ricoverato in rianimazione, infatti, è in media di 68,2 anni con 3 patologie pregresse, contro gli 82 anni di chi muore in un reparto normale con 4 patologie pregresse.
Anziano in terapia intensiva 3
Sovrastima o sottostima?
In definitiva, si può dire che c’è una sovrastima dei morti Covid? «Da marzo a dicembre 2020 i morti positivi al Covid inclusi nel bollettino sono stati circa 78 mila, rispetto ai morti per tutte le cause degli anni 2015-2019 sono decedute 108 mila persone in più: la differenza è di 30 mila. Significa che sono stati contati meno decessi per Covid di quelli reali – riflette il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa –. Tra gennaio e ottobre 2021, invece, i morti inclusi nel bollettino Covid sono stati circa 54 mila, mentre lo scostamento dalla mortalità media degli anni precedenti è stato di circa 49 mila persone.
Questo potrebbe fare pensare a una sovrastima dei morti Covid, in realtà va considerato il fatto che l’influenza è sparita. Se escludiamo dal confronto i morti di influenza degli anni pregressi, i morti reali in più rispetto alle attese sono stati nel 2021 circa 63 mila, cioè novemila in più rispetto ai morti Covid dichiarati nel bollettino.
Questo ci fa pensare che non ci siano extra-conteggi, ma che i morti inclusi nel bollettino siano una buona approssimazione delle persone per cui il Covid è stata davvero la causa determinante di morte negli ultimi due anni».
Va soprattutto considerato che i dati arrivano a ottobre e il numero di decessi è aumentato a novembre e dicembre. Da ricordare, inoltre, che le schede di morte sono sotto la responsabilità del medico che le firma, e chi dovesse imbrogliare sulla causa reale del decesso per avere un rimborso più alto commette un reato.
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