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Maurizio Molinari per “la Stampa”
I jihadisti dello Stato Islamico (Isis) attaccano la moschea di una base militare saudita alzando la sfida nei confronti di re Salman. L’obiettivo è il luogo di culto dentro la base delle forze speciali nella provincia di Asir, nel Sud-Ovest del regno, ovvero nell’area dove si coordinano le operazioni militari della coalizione sunnita nel confinante Yemen.
COLPO ALLA MONARCHIA
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Il terrorista, Abu Sinan al-Najdi, riesce a evadere i controlli, ha indosso una cintura esplosiva e si fa saltare in aria appena dentro la moschea: almeno 12 i militari uccisi, mentre stavano pregando, a cui si devono aggiungere altre tre vittime, del personale civile della base. Si tratta di un blitz che punta a dimostrare la vulnerabilità della monarchia wahabita lì dove si sente più sicura - nelle basi militari - ed a firmarlo è un’unità di Isis finora ignota, denominata «Provincia di Al-Hijaz».
I DUE RAMI DEL TERRORE
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I precedenti attacchi terroristici di Isis nel Golfo, a due moschee sciite in Arabia Saudita ed a una moschea in Kuwait, erano stati firmati, a partire da maggio, da un’altra cellula di Isis: la «Provincia Najd». Proprio per sgominare questo network Riad ha condotto nel mese scorso una retata di jihadisti che ha portato a 431 arresti, seguita da simili azioni di polizia condotte in Kuwait e Bahrein. La differente denominazione delle cellule fa supporre che Isis abbia diviso la Penisola Arabica in almeno due aree di operazioni con obiettivi tattici differenti: gli sciiti ad Est ed i militari ad Ovest.
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In comune le due «Province» hanno il linguaggio adoperato nella rivendicazioni perché entrambe fanno riferimento allo «Stato Islamico» e definiscono il terrorista suicida un «soldato del Califfato».
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L’attentato segue di pochi giorni la riunione in Qatar dei ministri degli Esteri dei Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo con l’americano John Kerry nella quale si sono discusse nuove forme di cooperazione contro i jihadisti. La necessità di tale accelerazione viene dal risultato delle indagini sull’attentato alla moschea in Kuwait perché hanno portato ad accertare che il terrorista suicida era un saudita che aveva fatto tappa in Bahrein - probabilmente per prendere l’esplosivo - e poi si era diretto in Kuwait per compiere l’attentato grazie alla collaborazione in loco di sauditi, kuwaitiani, pakistani e residenti senza cittadinanza.
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