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I. Rav. Per il Messaggero
Pamela Petrarolo "the voice", frangettona nera e repertorio soul, era la veterana di Non è la Rai: presente in tutte le edizioni del programma, dal 1991 al 1995, a 17 anni era diventata un punto di riferimento «per le più giovani in studio. Mi sentivo un po' come una specie di mamma». Fra le più piccole c'era anche lei, Francesca Di Ruberto, entrata nel programma a 14 anni, che con Pamela aveva un rapporto speciale. «L'avevo portata io là dentro, suggerendola a Gianni Boncompagni, e sentivo di doverla proteggere. Aveva lo stesso sguardo perso che avevo io a 12 anni».
Quando vi eravate sentite l'ultima volta?
«Purtroppo ci eravamo perse di vista.
Con una trentina di ragazze, ex di Non è la Rai, ci sentiamo ancora via chat. Prima del Covid ci incontravamo, ogni tanto, per prenderci un aperitivo. Ma lei no, non la vedevo dalla fine del programma. Non sapevo nemmeno che fosse diventata mamma. Ho visto le sue foto "da grande" soltanto adesso».
Cosa ha fatto quando ha saputo dell'incidente?
«Sono rimasta senza parole. Ho pubblicato immediatamente una storia su Instagram, un suo ricordo, con le condoglianze per la famiglia: in un secondo mi sono arrivati centinaia di messaggi. Mi si è intasato il telefonino. È incredibile quanto la gente sia ancora legata a quel programma. E a noi».
Lei come se la ricorda, Roberta?
«Sempre sorridente, con una faccia da furbetta. Boncompagni aveva azzeccato la sua personalità, facendone una specie di Rita Pavone con le treccine. Cantava brani molto energici, alla Gian Burrasca. La sua particolarità non era tanto il ballo, quanto la mimica del viso».
Era disinvolta davanti alle telecamere?
«Sì, molto. Mi ricordo che aveva l'accento romano, come me, e ogni tanto le scappava fuori. Le più grandi fra noi avevano fatto un corso di dizione, lei no: non aveva ancora il controllo delle parole».
Com'era il vostro rapporto?
«Era curiosissima e si sedeva spesso vicino a me in studio. Mi guardava, attenta, come se volesse rubare qualcosa con gli occhi. Veniva a vedermi alle prove, quando cantavo: alla fine mi abbracciava e mi riempiva di complimenti. Del resto ero stata io a sceglierla».
Non fu Boncompagni?
«L'ultima parola naturalmente spettava sempre a lui. Ma quell'estate del 1994, dopo avermi promossa coreografa, mi chiese per la prima volta di partecipare ai provini. Mi disse: "Vieni, perché vorrei il tuo parere". Figuriamoci, io le avrei prese tutte».
Cosa la colpì in Roberta?
«Il viso, quei lineamenti minuti, gli occhi orientali. Aveva un'aria inconsapevole, come molte delle ragazze della sua età. Le chiamavamo "le minorenni", anche se eravamo minorenni pure noi: ma a quell'età, fra 17 e 14 anni ci passa un mondo».
Come la ricorda al provino?
«Era insieme ad altre coetanee, tutte fan del programma: al tempo funzionava così, molte delle ragazze che ci vedevano in tv volevano entrare nel gruppo, essere parte di noi. E lei ci riuscì. Coronò il suo sogno. Almeno in quella fase della sua vita».
Anche Roberta aveva i fan?
«Si, come tutte. Ma sembrava non accorgersene. Anche per me, all'inizio, era stato così. Un po' mi rivedevo in lei. Eravamo diventate amiche».
Ricorda quando finì il sogno?
«Roberta se ne andò via, come tutte, con l'ultima puntata del programma. Era finita un'epoca».
Come la prese?
«Fra tutte era quella che piangeva di più. Era disperata. Come se avesse la consapevolezza che stava finendo tutto. Un paradosso: per lei e per tutte noi i riflettori si sono spenti nel 1995. Ma oggi si spengono ancora per lei, sulla nuova vita che si era costruita. Spezzando anche quest'ultimo sogno».
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