DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
1.ALITALIA, POMPEI E ROMA. STORIE DI UN PAESE DI CUI VERGOGNARSI
Alessandro Sallusti per “Il Giornale”
Gli aerei che restano a terra rovinando l'inizio di vacanze a migliaia di italiani, siti archeologici che improvvisamente chiudono lasciando fuori per ore e sotto il sole migliaia di turisti che avevano attraversato il mondo per venire ad ammirare i nostri tesori, metropolitane che vanno a rilento per il boicottaggio dei macchinisti.
I casi Alitalia, Pompei e Roma sono solo la punta di quell'iceberg che è l'Italia che non vuole cambiare. Parliamo di quegli scioperi improvvisi, indetti da sindacalisti mascalzoni e attuati da lavoratori incoscienti che perdono così ogni diritto alla solidarietà dell'opinione pubblica. Anche il diritto più sacrosanto diventa irrilevante se non accompagnato dal senso del dovere e dal rispetto degli altri. Lo sciopero è come un'arma, la sua utilità e nobiltà dipende da come è perché la si usa.
I cavalieri roteavano le spade per difendere la civiltà dai barbari, i poliziotti la estraggono per fermare i malfattori. Chi la usa per finire vite innocenti, per fare giustizia sommaria o per colpire alle spalle è un vile oltre che bandito. Il sindacato italiano non sempre usa la sua pistola per nobili motivi. Ieri, negli aeroporti come a Pompei e a Roma, hanno sparato alle spalle di cittadini inermi, sorpresi nel loro momento di massima fragilità, quello delle vacanze. Che non sono una bazzecola ma un diritto sacro e inviolabile.
affresco delle terme suburbane, pompei
Non capisco perché un amministratore pubblico rischi ogni giorno una incriminazione per «procurato danno» alla collettività, perché un privato imprenditore debba rispondere alla magistratura e allo Stato di ogni suo centesimo e invece ai sindacati sia concessa licenza di uccidere e impunità. La sacralità dello sciopero è una grande balla della sinistra. Sacro è il lavoratore, sacro uguale è il consumatore o l'utente di servizi. Se qualcuno pensa di essere più sacro degli altri è solo un violento.
Certe decisioni sindacali andrebbero vietate e perseguite dal codice penale, come qualsiasi atto che crei danno alla collettività. Ma ancora più tristezza fanno quei lavoratori che non amano il loro lavoro al punto di abbassare le saracinesche nel momento di massimo afflusso di clienti quando il tuo padrone, lo Stato, è tecnicamente in bancarotta. Verrebbe voglia di scioperare noi contro questo branco di privilegiati, intoccabili che qualsiasi cosa facciano non rischiano, a differenza nostra, né il posto di lavoro né un avviso di garanzia.
2. “DAL VESUVIO A ROMA OFFESA LA BELLEZZA D’ITALIA”
Francesco Erbani per “la Repubblica”
raffaele e alexandra la capria
«Certo sindacalismo è fatto così, pur di avere ragione sarebbe capace di qualsiasi cosa. Ci vedo uno spirito aggressivo e confuso di antagonismo, che sovrasta ogni forma di cura per la bellezza: di una città antica come Pompei, ma in generale del Paese intero».
Raffaele La Capria, 93 anni il prossimo ottobre, scrittore e intellettuale proverbiale per la mitezza dell’argomentare e per il disdegno che nutre verso i toni eccessivi, di fronte ai cancelli chiusi degli scavi vesuviani, alza il tono di voce e diventa severo.
Che impressione le suscitano le immagini di migliaia di persone che vorrebbero e non possono entrare a Pompei?
«A Pompei è accaduto tante volte, tante volte queste manifestazioni si ripetono in altri luoghi come il Colosseo. Sono il sintomo di un atteggiamento che va oltre le rivendicazioni di chi lavora. Non le conosco e potrebbero essere le più giustificate. Queste proteste sono però il segnale della scarsa considerazione che tutti noi italiani abbiamo del nostro territorio, dei pregi che esprime, insisto, della sua bellezza. Un americano, un inglese, un francese concepiscono questi valori ben al di là della convenienza nazionale. Li sentono propri e mai andrebbero contro un altissimo interesse nazionale».
Da che cosa dipende questa scarsa considerazione?
«Ragioni antiche, persino comprensibili. Invece della preoccupazione per le sorti di un bene che appartiene a tutti e che dovrebbe generare solo orgoglio, ci si concentra sull’interesse particolare, quello di guicciardiniana memoria. Ma d’altronde questo atteggiamento lo possiamo attribuire solo ai custodi di Pompei oppure appartiene a molte altre categorie? Possiamo escludere che si tratti di un attributo che riguarda il carattere nazionale? No, non possiamo escluderlo ».
Lei è un napoletano che da oltre cinquant’anni vive a Roma. Quei territori che abbracciano o soffocano Pompei li conosce. C’è in questa vicenda qualcosa di specificamente legato ad essi?
«Non lo so. Ma sarei tentato di dire “no”. Immagini come quelle di ieri a Pompei si vedono anche altrove. Documentano un atteggiamento di desolante indifferenza nei confronti della bellezza che investe tutti noi».
Altre immagini, altri luoghi. Ha fatto impressione la foto dello stato d’abbandono di Roma sulla prima pagina dell’edizione internazionale del New York Times . Lei l’ha vista?
«Fa impressione l’occhio di uno straniero che guarda le stesse cose che guardi tu da tempo. Risalta con evidenza, ti mette con le spalle al muro, nonostante Roma sia sempre uguale: una città stupenda, severa e a misura d’uomo eppure la cui bellezza viene costantemente offesa e trascurata».
Offesa e trascurata da chi?
«Tanti ne sono responsabili. Come credo che accada a Pompei: non so se sia solo colpa dei custodi se la città sepolta è maltrattata. C’è sempre da noi un’antica complicità fra chi governa e chi è governato».
Quanto antica?
ROMA - LA METROPOLITANA VIAGGIA CON LE PORTE APERTE
«Nelle stampe che raffigurano Roma nel Seicento si vedono piazze e strade affollate da una popolazione estranea che sembra le abbia invase senza avere alcun interesse per la bellezza che la circonda».
Lei vive nel centro storico di Roma, dove l’indifferenza per la bellezza di cui parla a proposito di Pompei è altrettanto vistosa e paradossale insieme.
«Non ne posso più di vedere le strade del centro storico ingolfate di macchine, macchine parcheggiate dovunque che offendono la più elementare forma di armonia.
Chi ha disegnato questi luoghi ha voluto che l’armonia dominasse, un’armonia non esibita, ma evidente. L’incuria la rende irriconoscibile. A Roma come a Pompei».
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