DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
1 - È IL PADRE DI MIA FIGLIA, NON POSSO CREDERE CHE ABBIA UCCISO PAMELA”
Gian Pietro Fiore per “Giallo”
innocent oseghale e la compagna michela
Innocent non ha fatto tutto da solo. Il 30 gennaio non c’era solo lui nella mansarda di via Spalato a Macerata. Insieme con Innocent c’erano altre due persone. Li ho visti con i miei occhi. Sono sicura di non sbagliarmi. Quel giorno io e Innocent ci siamo sentiti più volte al telefono. Abbiamo fatto anche una videochiamata. Ed è stata proprio in quella occasione che ho scoperto che Innocent non era in casa da solo, ma con almeno altri due connazionali. Non li conosco di persona, ma posso descriverveli.
Di uno, ho sentito soltanto il soprannome. Lo chiamavano ‘Isha Boy’ o anche ‘Lucky 10’. Nella videochiamata ho visto i volti di entrambi in maniera chiara. Potrei riconoscerli”. È questa la fondamentale testimonianza che ha permesso agli inquirenti di arrivare a una svolta nelle indagini sull’omicidio di Pamela Mastropietro, la 18enne uccisa e fatta a pezzi a Macerata.
innocent oseghale con la compagna michela e il figlio
Le clamorose parole che avete letto e che Giallo pubblica in esclusiva hanno consentito ai carabinieri di individuare e arrestare i presunti complici del nigeriano Innocent Oseghale, 29 anni, già in carcere con l’accusa di omicidio volontario. Si tratta di due connazionali di Innocent: Desmond Lucky, 22 anni, e Awelima Lucky, 27 anni. Le indagini non sono chiuse: gli inquirenti stanno concentrando le loro attenzioni su una quarta persona. Ma i soggetti coinvolti potrebbero essere di più.
“NO, NON ERA DA SOLO IN QUELLA MANSARDA”
Ma di chi è questa testimonianza così precisa, attendibile e, soprattutto, coraggiosa? È di Michela P., la compagna di Innocent. È lei la super testimone che ha dato una svolta alle indagini su uno dei casi di cronaca più sconvolgenti degli ultimi anni. La videochiamata tra Michela e il fidanzato è avvenuta il giorno dell’orribile delitto di Pamela. Michela ha visto con i propri occhi i volti dei due connazionali di Innocent. E alcuni giorni dopo lo ha riferito ai carabinieri, fornendo loro dettagli importantissimi e decisivi ai fini dell’inchiesta. Michela è stata sentita come persona informata sui fatti, cioè come testimone.
E durante la sua drammatica deposizione ha riferito agli inquirenti ogni particolare della videochiamata con Innocent. Ha detto di non aver notato nulla di strano nei volti del compagno e dei suoi amici. Le loro espressioni non le sono sembrate particolarmente sconvolte, né preoccupate.
Erano tutti e tre tranquilli. Eppure, secondo l’accusa, pochi minuti prima avevano ucciso e fatto a pezzi Pamela Mastropietro. Come sapete, Pamela, 18enne originaria di Roma, era fuggita pochi giorni prima da una comunità di recupero, dove era in cura per problemi di droga. Il suo cadavere è stato poi trovato all’interno di due valigie in una scarpata lungo una strada.
“NON PUÒ AVER FATTO TUTTO DA SOLO”
Ma torniamo a Michela, la testimone chiave. La donna, che ha 35 anni, non è solo la fidanzata di Innocent: è anche la mamma della loro bambina. La piccola ha appena 11 mesi. Nata e cresciuta a Macerata, Michela ha un passato difficile alle spalle. Già madre di due figlie, di 13 e di 17 anni, nate da una precedente relazione, oggi la donna è ospite, insieme con la bimba avuta da Innocent, di una casa famiglia di un’altra provincia, sempre nelle Marche. Fin dall’inizio la donna ha tentato in tutti i modi di difendere il compagno. Vedere con i propri occhi, attraverso la videochiamata di cui vi abbiamo riferito, che all’interno dell’appartamento Innocent non era da solo, l’ha convinta ancora di più che il responsabile dell’atroce omicidio non sia lui.
O, perlomeno, che non abbia fatto tutto da solo. Ecco che cosa ha detto Michela, dopo l’arresto del fidanzato, a Simone, un suo carissimo amico che noi di Giallo abbiamo sentito: «Innocent non è l’assassino di Pamela. Non possono accusare solo lui di un omicidio così terribile. Sicuramente con lui quel giorno c’erano altre persone. Non ha fatto e non ha potuto fare tutto da solo».
Queste parole le ha pronunciate al telefono. Noi di Giallo le abbiamo ascoltate perché eravamo andati a intervistarla. In quel momento ancora non sapevamo che Michela aveva visto con i propri occhi i volti dei due nigeriani, poi arrestati per l’omicidio. Solo nei giorni successivi è stato possibile comprendere meglio il reale senso di quelle frasi riferite per telefono all’amico Simone. Il significato era questo: Innocent non era da solo in casa. Forse non è stato lui a fare quello scempio. Era lì, dice Michela, ma non è stato lui!
La casa dell’orrore, ubicata in via Spalato al civico 124, Michela la conosce bene. Era stata proprio lei a prenderla in affitto un anno fa. Anche se non abitavano insieme, lei e Innocent si telefonavano tutti i giorni. E si sono sentiti anche quel maledetto 30 gennaio. Anzi, si sono visti. Perché, come vi abbiamo spiegato, tra Michela e Innocent il 30 gennaio c’è stata anche una videochiamata.
E durante questa videochiamata la donna ha memorizzato i volti dei due amici di Innocent, descritti poi ai carabinieri, che li hanno arrestati. La sua fondamentale testimonianza è stata confermata dai riscontri ottenuti con l’analisi delle celle telefoniche, dai quali è emerso che i telefoni dei tre nigeriani erano proprio lì, nel luogo dove la povera Pamela è stata ammazzata. Delle indagini vi parliamo approfonditamente in un altro servizio che pubblichiamo nelle prossime pagine.
Torniamo ancora a Michela. Ecco come la giovane ha scoperto che il suo compagno era stato arrestato. È il 2 febbraio: Pamela è stata uccisa da due giorni. Michela è su un autobus. Sta andando a Macerata proprio per incontrare Innocent. Lo fa una volta alla settimana. Mentre è in viaggio, la donna sente questa terribile notizia: «È un nigeriano di 29 anni, Innocent Oseghale, l’autore del delitto di Pamela, la ragazza romana di 18 anni fuggita dalla comunità “Pars” lo scorso 29 gennaio».
Parole terribili che la donna non avrebbe mai voluto ascoltare. Stenta a crederci. Pensa a un clamoroso caso di omonimia o a un errore. Le basta collegarsi a Internet con il suo smartphone per trovare conferma a ciò che sul bus aveva ascoltato. È proprio Innocent Oseghale, suo fidanzato nonché papà della loro bambina, l’assassino di Pamela. La donna si sente male.
È sotto shock. Viene confortata da alcuni passeggeri dell’autobus. Una scena terribile. Un dramma nel dramma. Quando si riprende, Michela chiama l’avvocato. Poi decide di non andare più a Macerata. Prende il bus in direzione opposta e fa ritorno a Fermo. Passano le ore, poi i giorni: Michela non si dà pace per quello che è accaduto e per le tremende accuse mosse nei confronti dell’uomo che ama. Ha bisogno di sfogarsi e per questo chiama il suo amico Simone, il ragazzo della telefonata di cui vi parlavamo prima.
la morte di pamela mastropietro il fossato in cui e stato ritrovato il corpo
Simone è un ragazzo di 24 anni che la donna ha conosciuto tre anni fa mentre frequentava un gruppo religioso. Michela gli dice a telefono: «Sono distrutta. Ma voglio capire bene cosa sia successo. Non posso credere che Innocent abbia fatta tutto da solo. C’è di mezzo sicuramente qualcun altro. Sono sicura che non sia stato lui ad ammazzare la ragazza. Ho provato io stessa a ricostruire i fatti e alla fine giungo sempre alla stessa conclusione: Innocent non ha potuto fare tutto da solo».
NON È CHIARO IL RUOLO DI ALTRE PERSONE
Al telefono Michela non si sbilancia. Forse sospetta di essere intercettata. La chiamata continua così: «Se la prendono solo con Innocent, ma non capisco perché non chiariscano anche il ruolo della persona che lo ha accompagnato in auto con due valigie (si riferisce all’occultamento del cadavere e al testimone che lo ha visto, ndr). Questa persona non si è posta delle domande quando ha visto Innocent lasciare quei trolley sul ciglio della strada?
E poi chi ha venduto tutti quei litri di candeggina non si è chiesto a cosa potevano servire (la casa e il cadavere della povera Pamela sono stati lavati con la candeggina per cancellare le tracce, ndr)? Io ho fiducia in Innocent e credo che abbia detto la verità quando dice di non essere stato lui. Lui con la morte della ragazza non c’entra. In quella casa con lui potevano esserci anche altre persone». Michela già sapeva che il 30 gennaio Innocent non era da solo, perché nel frattempo si era ricordata di quella videochiamata fatta al suo uomo.
Peraltro l’abitazione di Innocent era frequentata da altri suoi connazionali, che spesso rimanevano lì anche a dormire. In qualche occasione ci restavano per giorni. Ce lo ha detto Simone, l’amico di Michela e di Innocent. Ecco le sue parole: «Innocent mi ha sempre detto che viveva da solo. Qualche mese fa, però, ho potuto constatare che non era così. Un giorno mi ha chiamato e mi ha chiesto se potevo risolvergli un problema al computer.
il caso di pamela mastropietro
Per questa ragione sono andato a casa sua. Quando ero lì per capire cosa fosse successo al pc, da un’altra stanza sono usciti due ragazzi di colore, forse nigeriani come lui. Ho intuito che non fossero di passaggio, perché si comportavano con molta disinvoltura, come fosse casa loro. Erano perfino a torso nudo!».
Simone e Innocent si conoscono da tre anni. Dice Simone di lui: «Me lo ha presentato proprio Michela. Non mi aspettavo potesse arrivare a tanto. Io lo conoscevo bene e non mi ha dato mai l’idea di essere una persona violenta. Per giunta non faceva uso di droga, almeno non in mia presenza. Sicuramente ha commesso il più grave degli errori quando ha accompagnato Pamela a cercare l’eroina. Questo non avrebbe dovuto farlo.
alessandra verni madre di pamela mastropietro
Gli credo quando dice che non ha ucciso la ragazza. Ma tutto il resto che ha fatto è molto grave. Con lui avevo un buon rapporto, tanto che un paio di mesi fa l’ho accompagnato in ospedale per un’operazione. Spesso ci trovavamo a parlare e lui mi diceva che era molto risentito del fatto che gli avessero tolto la potestà genitoriale sulla figlia. Era rammaricato di non poter vivere con la compagna e con la bimba di pochi mesi. Riteneva che lo Stato italiano lo stesse trattando male».
“CI SIAMO CONOSCIUTI SU UNA PANCHINA”
Ma come si sono conosciuti Michela e Innocent? Michela ha detto: «Ero su una panchina nel centro di Macerata. Stavo bevendo una birra da sola, quando si è avvicinato. Mi ha chiesto come mi chiamavo, poi mi ha detto: “Perché bevi da sola? Ti dispiace se bevo qui con te?”. Sono rimasta colpita dalla sua gentilezza. È stato molto carino e in poco tempo mi sono innamorata di lui».
Da quel giorno non si sono più lasciati. Lo scorso luglio Innocent è stato coinvolto in una operazione antidroga e così, quando è nata sua figlia, sono intervenuti i servizi sociali per allontanarlo dalla neonata. Neppure Michela è stata ritenuta idonea a svolgere il ruolo di madre, perché anche lei ha avuto un passato difficile. Michela vivrà con la figlioletta ancora per poco. Quando finirà di allattarla, i servizi sociali gliela porteranno via. Michela non avrebbe un buon rapporto né con la madre né con la sorella. I rapporti con la famiglia si sono interrotti proprio quando ha conosciuto Innocent.
alessandra verni madre di pamela mastropietro
2 - LI INCASTRANO ANCHE LE IMPRONTE E LE TRACCE DEI LORO TELEFONI
Gian Pietro Fiore per “Giallo”
C’è una supertestimone che incastra i tre presunti assassini. Tutti e tre i nigeriani arrestati, il 30 gennaio, quando verosimilmente Pamela era già stata uccisa, erano nella mansarda di via Spalato 124”. Come vi abbiamo rivelato in esclusiva nell’articolo precedente, la supertestimone è Michela P., la compagna di Innocent Oseghale. Innocent è il nigeriano di 29 anni arrestato il 31 gennaio, il giorno dopo l’orribile omicidio di Pamela Mastropietro, uccisa e fatta a pezzi a Macerata.
Michela è una testimone oculare: ha visto, nel corso di una videochiamata con il padre di sua figlia, che nell’appartamento di via Spalato, Innocent non era da solo, ma con altri due nigeriani. A loro si è arrivati grazie alla coraggiosa testimonianza della donna. Ma questa testimonianza è stata supportata successivamente da una serie di riscontri, che nel linguaggio investigativo sono definiti “riscontri di natura tecnico-scientifica”.
I carabinieri del Ris di Roma, nel corso del primo sopralluogo nell’abitazione dove Pamela è stata uccisa e fatta a pezzi, hanno infatti rilevato impronte cosiddette “fresche”, cioè lasciate di recente. Queste impronte, analizzate in laboratorio, sono di Innocent. Ma in casa non c’erano solo le impronte del 29enne.
Oltre alle sue, gli esperti hanno isolato anche quelle del 22enne Lucky Desmond e del 27enne Awelima Lucky, arrestati dopo qualche giorno. Sono i due nigeriani che Michela P. aveva visto nella videochiamata di cui vi abbiamo a lungo parlato nelle pagine precedenti. Non è tutto. Un’ulteriore conferma è arrivata dalle analisi delle celle telefoniche. Gli apparecchi dei tre sospettati, infatti, il pomeriggio del 30 gennaio hanno agganciato la stessa cella telefonica, che copre via Spalato, dove c’è la “casa dell’orrore”.
LA MORTE DI PAMELA MASTROPIETRO -DESMOND LUCKY
In quel giorno e a quell’ora i cellulari di Innocent Oseghale, di Lucky Desmond e di Awelima Lucky erano proprio nella mansarda di via Spalato 124. Nonostante i tre nigeriani continuino a negare di essere coinvolti nel delitto, gli inquirenti hanno raccolto prove e indizi sufficienti a incastrarli alle loro tremende responsabilità. Lucky Awelima, arrestato alla stazione di Milano mentre insieme con la moglie stava tentando di raggiungere la Svizzera, per fuggire, non ha risposto al giudice. Il giovane ha parlato solo con il suo avvocato, al quale ha detto: «Sono innocente. Non sono mai entrato nella casa di via Spalato e non conosco Pamela». Per gli inquirenti sono tutte bugie.
LA MORTE DI PAMELA MASTROPIETRO - LUCKY AWELIMA
È STATO UN OMICIDIO VOLONTARIO?
Che quello di Pamela sia stato un omicidio volontario è ormai quasi una certezza. La ragazza, infatti, non sarebbe morta per overdose, come inizialmente si era ipotizzato. Dai primi risultati della seconda autopsia, disposta dagli inquirenti sul cadavere mutilato di Pamela, è emerso che la ragazza potrebbe essere stata uccisa. Il secondo medico legale che ha analizzato i poveri resti di Pamela ha infatti riscontrato «una botta alla testa all’altezza della tempia e due coltellate al fegato, inferte quando la ragazza era ancora viva». Ma non è ancora sufficiente per avere certezze. In settimana, dunque, si terrà a Roma una terza autopsia, per cercare di ottenere la verità.
Al momento non è stato individuato, invece, il movente del delitto. Gli inquirenti ritengono che Pamela sia stata uccisa dai tre nigeriani, che dopo l’omicidio hanno «sezionato il cadavere in modo apparentemente scientifico». I tre arrestati sono accusati di concorso in omicidio volontario, vilipendio, distruzione e occultamento di cadavere e spaccio di droga.
È verosimile, stando almeno alle ipotesi formulate dagli investigatori, che Pamela dopo essere stata stordita da una dose di eroina (non assumeva droga da almeno quattro mesi perché in cura presso un comunità di recupero), si sia ribellata a un tentativo di stupro. Secondo la ricostruzione fatta dai carabinieri, il delitto e il macabro smembramento del corpo della ragazza sarebbero avvenuti tra le 12 e le 19.
I 3 NIGERIANI SI SONO TELEFONATI 18 VOLTE!
PAMELA MASTROPIETRO CON LA MADRE ALESSANDRA VERNI
Quel maledetto giorno, intorno alle 11, Oseghale ha accompagnato Pamela a comprare una siringa in farmacia. Insieme sono andati nell’appartamento di via Spalato, dove c’erano Desmond e Awelima. Stando alle dichiarazioni di Innocent, sarebbe stato Desmond a cedere la dose di eroina alla 18enne. Nell’analizzare i loro telefoni, i carabinieri hanno appurato che il giorno del delitto i tre nigeriani si sono chiamati più volte. Un fitto scambio di telefonate, almeno 18, tutte molto brevi e avvenute prima delle 12 e tra le 18 e le 19. Tra le 12 e le 18, invece, tra i tre nigeriani non ci sono stati contatti telefonici. In quelle sei ore, infatti, erano insieme.
LA MORTE DI PAMELA MASTROPIETRO
Nel corso delle due perizie medico legali, non è stato possibile rilevare sui resti di Pamela tracce di sangue o di urina, accuratamente cancellate con la candeggina. Gli indagati hanno infatti tentato di eliminare sia le prove dell’omicidio sia le tracce di una presunta violenza sessuale. Innocent, Lucky e Awelima si sarebbero inoltre adoperati per pulire la casa, utilizzando sempre la candeggina.
Con l’arresto dei tre nigeriani il caso può dirsi chiuso? No. Come abbiamo scritto nelle pagine precedenti, gli inquirenti sono convinti che nel delitto possano essere coinvolte altre persone e hanno già messo sotto torchio un quarto soggetto. Intanto, non è ancora stato possibile ricostruire la notte del 29 gennaio, quando Pamela, dopo aver avuto un rapporto sessuale occasionale con un 50enne di Magliano, è stata lasciata alla stazione di Macerata. Come e con chi ha trascorso la sua ultima notte la povera Pamela?
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