DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
1. QUELL'ICONOGRAFIA CARA AI MAFIOSI SICILIANI: NEL BUNKER ANCHE IL POSTER DEL PADRINO
Estratto dell'articolo di Cristiana Mangani per “il Messaggero”
Il poster di don Vito Corleone attaccato alla parete del covo del super boss quasi fosse un'immaginetta sacra, un simbolo da venerare […]
Ci è cascato anche Matteo Messina Denaro che, nel primo covo dove ha trascorso una parte della sua latitanza, ha scelto Il padrino di Francis Ford Coppola come quadro per decorare le pareti.
[…]
poster padrino nel rifugio di matteo messina denaro
Alcuni tra i più famosi sociologi italiani hanno sottolineato l'importanza dei film per le mafie. La mafia vuole costruire un'identità che tutti possano riconoscere, ma non può farlo legalmente, spiegano. E comportandosi come i gangster sullo schermo, fanno sapere che sono i veri mafiosi. Il paradosso è che i boss (veri) modellano la propria immagine su quella (fittizia) che appare al cinema. E nel caso delle organizzazioni criminali, le pellicole a loro ispirate finiscono per diventare, sebbene in maniera involontaria, una grande macchina pubblicitaria. […]
2. MINACCE E UN ACCORDO CON IL BOSS: PERCHÉ LA PAROLA “MAFIA” NON È MAI PRONUNCIATA NEL FILM “IL PADRINO”
Francesco Tortora per www.corriere.it – articolo del 13 gennaio 2017
E' una delle pellicole più celebri della storia del cinema e ha fatto conoscere la mafia italo-americana in tutto il mondo. Tuttavia nel film «Il padrino», capolavoro del 1972 di Francis Ford Coppola con Marlon Brando, la parola «mafia» non è mai pronunciata. Una coincidenza? «Nient'affatto» ha spiegato al settimanale britannico Short List Gianni Russo, uno degli attori dell’opera vincitrice di tre premi Oscar. Sarebbe stato il boss italo-americano Joseph Colombo a imporre alla Paramount di cancellare dal copione i termini «mafia» e «Cosa Nostra» dopo ripetute minacce.
il padrino francis ford coppola
Il furto milionario a Little Italy
L'attore Russo che nel film interpreta Carlo Rizzi, il genero del boss Vito Corleone, racconta che a opporsi fu l'Italian-American Civil Rights League, gruppo politico di New York che combatteva gli stereotipi usati contro gli italo-americani e che al tempo era presieduto proprio dal boss Joseph Colombo.
Appena la casa di produzione americana annunciò che avrebbe girato un film basato sul romanzo bestseller di Mario Puzo, l’organizzazione manifestò la propria contrarietà. Ma, a differenza di un qualsiasi gruppo di pressione, la «Lega dei diritti civili degli italo-americani» arrivò ad usare le maniere forti e le minacce pur contrastare il film: «Ci furono intimidazioni e avvertimenti molto seri da parte della mafia - dichiara Russo -. La famiglia Colombo aveva attorno a sé idioti che sarebbero stati capaci di tutto. Coppola andò a Little Italy con un piccolo caravan per fare i primi test. Quando tornò dal pranzo, il camioncino era sparito e con esso tutta l'attrezzatura che valeva milioni di dollari».
Le minacce e l'accordo con il boss
Le minacce non si fermarono qui. Il produttore Robert Evans ricevette una telefonata anonima nell'hotel di New York in cui soggiornava: «Non vogliamo spaccarti la tua bella faccia – disse una voce anonima -. E non vogliamo neppure far del male a tuo figlio. Andatevene dal nostro quartiere e non girate il film. Avete capito?». Al quel punto il produttore decise di contattare direttamente il boss Colombo per «sistemare» la faccenda. Come racconta Tom Santopietro, storico del cinema e autore del libro «The Effect Padrino», il gangster italo-americano accettò che fosse girato il film, ma a determinate condizioni: «Né la parola ‘Mafia’ né ‘Cosa Nostra’ devono comparire nella sceneggiatura» tagliò corto il boss. Inoltre la produzione promise di donare il ricavato dell'anteprima a un fondo di edilizia ospedaliera promosso dall'Italian-American Civil Rights League.
La vendetta delle famiglie Gambino e Luciano
Non tutti i mafiosi gradirono la benedizione al film e pochi mesi dopo Joseph Colombo fu punito: il boss fu colpito da un sicario con diversi colpi d'arma da fuoco alla testa e al collo e rimase paralizzato per sette anni, prima di morire nel 1978: "Carlo Gambino (capo della famiglia Gambino) e Frank Costello (capo della famiglia criminale Luciano) lo avevano avvertito - sentenzia Gianni Russo -. Dando l'ok al film, aveva acceso i riflettori sulla mafia e sul suo stile di vita".
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