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Alessia Calzolari per corriere.it - Estratti
Con la sua inchiesta sulle molestie nei ristoranti di fine dining della grande mela ha vinto il premio Pulitzer nel 2018. Ora Julia Moskin, dalle pagine del New York Times, ha affrontato un tema tecnico sicuramente molto più leggero, ma caro a molti, specialmente in Italia: qual è il modo corretto di cuocere la pasta? Secondo lei, sono cinque i falsi miti che girano intorno a fusilli a linguine. E li ha sfatati uno a uno.
La pasta va cotta al dente?
Il primo tema affrontato da Moskin è quello della cottura al dente. Secondo l’autrice l’idea che sia questo l’unico modo di servire la pasta è un falso mito di cui bisognerebbe liberarsi: va scolata secondo il proprio gusto personale. All’origine c’è il diverso modo di servire il primo piatto. In Italia spesso si usa ripassare la pasta nella pentola col sugo e un po’ di acqua di cottura o, quantomeno, condirla tutta insieme in una ciotola: in questo modo la pasta continua a cuocere e ha senso scolarla quando è ancora piuttosto soda.
L’abitudine più diffusa oltreoceano, invece, è quella di riempire il piatto di ogni commensale con una porzione di penne o farfalle scolate e poi aggiungere una cucchiaiata di salsa, per cui sarebbe meglio che fosse già al giusto grado di cottura. Quello che consiglia l’autrice, però, è di valutare per ogni tipologia di pasta la corretta cottura: un bucatino è meglio che sia al dente, mentre altri formati sono buoni anche ben cotti. Consiglia invece di usare sempre pasta al dente quando la si vuole ripassare in forno.
La pasta deve cuocere in acqua in forte ebollizione
Il secondo falso mito preso in esame è quello dell’acqua tenuta in ebollizione durante tutto il processo di cottura. Per sfatarlo, Moskin chiama in causa l’autore Harold McGee che si occupa di chimica e storia della scienza dell’alimentazione. L’acqua che bolle? Superata, è un falso mito anche questo (o almeno in parte). Basta infatti che l’acqua sfiori solo il bollore, la pasta si cuoce a partire dagli 80° C circa. Quello che fa la differenza è l’azione meccanica del cuoco.
Se cotta a temperature più basse, la pasta va mescolata molto spesso. Viceversa, se nel frattempo non si ha modo di curarne la cottura in maniera certosina, meglio che l’acqua faccia grandi bolle che smuovono al posto nostro il formato scelto. Il discorso leggermente diverso per la pasta fresca, in particolare quella ripiena: è più delicata e, pertanto, meglio che l’acqua di cottura non sia troppo movimentata, per evitare il rischio di rotture accidentali.
Il sale si aggiunge solo quando l’acqua ha raggiunto il bollore
Un altro falso mito ha come protagonista il sale. Se un tempo era necessario aspettare che l’acqua bollisse prima di salarla, per evitare di erodere le pentole fabbricate con metalli o leghe più delicate, oggi – afferma Moskin – non è più così. Tra l’altro, la quantità di sale che viene aggiunta all’acqua per la pasta è talmente poca, da non creare rischi ai tegami moderni. Insomma, salate l’acqua quando vi ricordate, ma sciacquate la pentola appena scolate la pasta. In questo caso, infatti, il lungo contatto tra una soluzione salina e un metallo potrebbe macchiare irrimediabilmente il fondo della vostra pentola preferita.
L’acqua salata accelera la cottura della pasta
Una seconda leggenda metropolitana, ai limiti del fantascientifico, riguarda la presunta capacità dell’acqua salata di accelerare la cottura. È vero che il sale innalza la temperatura di ebollizione dell’acqua, ma non a tal punto da cambiare qualcosa nei dieci minuti di media in cui cuoce la pasta. Se invece aggiungeste talmente tanto sale da riuscire davvero a ridurre il tempo di cottura, otterreste un primo davvero immangiabile.
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