BASTA CON IL SOLITO MAGNA MAGNA! PER SCONFIGGERE L’OBESITÀ I RICERCATORI STUDIANO ALCUNI NEURONI COINVOLTI NEL SEGNALE DI SAZIETÀ - POTREBBERO ESSERE “L’INTERRUTTORE” PER SPEGNERE (O ACCENDERE) LA FAME

Elvira Naselli per “la Repubblica”

 

Che cosa succederebbe se improvvisamente si riuscisse a capire come “accendere” e “spegnere” l’interruttore che regola il bisogno di mangiare e il senso di sazietà? E come reagireste alla notizia che la voglia di cibo non passa per la pancia ma per una piccola parte del nostro cervello, l’ipotalamo, che sovrintende a molte altre funzioni?

 

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Scoprire come funziona questo “interruttore” potrebbe essere la chiave per sconfiggere l’obesità, spegnendo, o, al contrario, l’anoressia, accendendo il bisogno di cibo. Un passo importante in questa direzione è stato compiuto da un team di scienziati internazionali che, in uno studio pubblicato su Pnas , aiuta a comprendere un po’ meglio quali sono i meccanismi che sottendono allo stimolo della richiesta di cibo.

 

La domanda dalla quale sono partiti i ricercatori dell’università della Michigan Medical School e di quella di Buenos Aires, che da anni si dedicano a questo filone di ricerca, è molto semplice: come funziona, e dove ha origine, il segnale che manda al nostro cervello l’avviso di sazietà o di fame? Lavorando su topi e piccoli pesci zebra, i ricercatori sono risaliti alla radice biologica del segnale, i geni, rivelando le piccole porzioni di Dna che hanno un’enorme influenza su come l’organismo regola l’appetito e il peso corporeo.

 

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Già da tempo invece si sapeva che alcuni neuroni implicati nel segnale di sazietà si trovano nell’ipotalamo, la struttura cerebrale che regola la temperatura corporea, la secrezione di ormoni da parte dell’ipofisi e alcuni comportamenti, come appunto quello alimentare. Alcuni di questi neuroni esprimono un gene che si chiama Pomc (propiomelanocortina), che contiene informazioni per produrre melanocortina, l’ormone che manda il segnale di arrestare l’ingestione di cibo.

 

Santiago portato in ospedale a Bogota Santiago portato in ospedale a Bogota

Sia i topi che gli uomini che hanno mutazioni, mancanza o malfunzionamento di Pomc mangiano troppo e diventano obesi. Lo studio del solo Pomc, però, non è stato risolutivo poiché non si è riusciti a spiegare perché e come i geni Pomc svolgano il proprio lavoro. Nello studio su Pnas, e in un altro su Plos Genetics, invece, gli scienziati hanno individuato una proteina (chiamata Islet1), e due piccole sequenze di Dna che agiscono facendo esprimere Pomc, e facendolo sviluppare correttamente nelle fasi iniziali dello sviluppo cerebrale, ancora prima della nascita. Il buon funzionamento di questa proteina, in sintesi, è indispensabile perché i neuroni dell’ipotalamo producano Pomc e melanocortina. I topi con questo meccanismo inattivato, o Pomc assente, sviluppavano iperfagia e obesità.

 

Ovviamente il passaggio da pesci zebra e topi all’uomo è un triplo salto mortale, anche perché finora lo studio della genomica umana non ha mostrato alcuna correlazione tra obesità e mutazioni nel gene individuato dallo studio.

 

Lu Hao a tre anni pesava sessanta chili Lu Hao a tre anni pesava sessanta chili

«La zona dell’ipotalamo è una specie di direttore d’orchela stra - premette Stefano Erzegovesi, psichiatra e specialista in disturbi alimentari dell’ospedale San Raffaele di Milano - al quale arrivano tanti segnali dal corpo, come i livelli di insulina, leptina e altri ormoni, e anche una serie di afferenze legate ad aree corticali. Se in questa zona si verificano lesioni, per esempio da ictus, i segnali di sazietà si riducono e si instaura sovrappeso e obesità. Parliamo di patologie rare».

 

Che questa zona fosse deputata alla modulazione di fame e sazietà, insomma, era cosa nota. Non si sapeva invece che potesse essere regolata da un punto di vista genetico e nei primi mesi di vita intrauterina. «Questa è certamente una grande novità - continua Erzegovesi, studioso di Neuroscienze - anche se è ovvio che traslare studi sul cervello dai topi e pesci all’uomo è molto ardito. Inoltre trovare la via genetica di regolazione non vuol dire trovare anche un modo per modulare esternamente un meccanismo che non funziona, per esempio con un farmaco».

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Un eventuale aggiustamento esterno porrebbe anche altre difficoltà. Gli obesi hanno una scarsa produzione di melanocortina (prodotta dal gene Pomc) e quindi teoricamente somministrandola dall’esterno si potrebbe ristabilire un equilibrio perduto. Ma è tutt’altro che semplice.

 

«Parliamo di sostanze regolatrici - ragiona Erzegovesi - e se una di queste è poco presente forse è perché altre sostanze non sono bilanciate. Quindi non avrebbe senso agire solo su una sostanza. Inoltre l’obesità è una malattia poligenica, regolata su più livelli, ed è difficile pensare che si possa intervenire su un solo fattore o interruttore. Insomma, ad oggi non è neanche ipotizzabile una prospettiva di cura, come scrivono anche gli autori dello studio. Ma è un passo avanti importante per capire le tappe biochimiche di questo meccanismo».

 

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Anche se, secondo Marcelo Rubinstein, dell’università di Buenos Aires, uno degli scienziati coinvolti, l’aver capito il meccanismo fondamentale del circuito della sazietà, anche se difficilmente porterà a rivoluzioni nella cura degli obesi, può però essere utile nei casi di obesità familiare.

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