DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Simona Lorenzetti per corriere.it
Presto avrebbe dovuto raggiungere la mamma in Calabria. Orlando Merenda, il diciottenne che domenica 20 giugno si è tolto la vita gettandosi sotto un treno, non vedeva l’ora di scappare da Torino. E dalle sue paure. Il giorno prima di uccidersi si era presentato regolarmente al bar Cristalife di corso Vittorio Emanuele II, dove stava svolgendo uno stage programmato dalla scuola professionale che frequentava, la Engim.
«Era più silenzioso del solito», racconta la cameriera. «Gli ho chiesto se ci fosse qualcosa che non andava, ma lui si è limitato a rispondere: “Oggi sono un po’ così”. Era un ragazzo tranquillo, anche se a volte si faceva prendere da ansie ingiustificate. Se riteneva di aver fatto un errore sul lavoro, scoppiava in lacrime».
Anche il titolare, Ivan, non nasconde lo choc: «Era riservato. Professionalmente una persona seria: puntale e preciso. Ho fatto la valutazione per la scuola e gli ho dato un buon punteggio. Era poco intraprendente. Ma ci sta, era giovane e alla prima esperienza».
Ivan ricorda anche di avergli offerto un piccolo impiego estivo: «Lo stage era finito, ma gli proposi di lavorare all’ora dell’aperitivo. Rifiutò, disse che doveva raggiungere la mamma in Calabria. Gli ho spiegato che all’inizio della carriera tutti i giovani svolgono dei lavoretti stagionali e che questa era un’occasione, ma lui mi ha ribadito che sarebbe stato via tutta l’estate».
Il giorno dopo Orlando ha deciso di andarsene per sempre. Dopo aver condiviso il pranzo domenicale con il padre e il fratello, e aver parlato con la mamma al telefono, è uscito di casa: «Torno presto». Stava mentendo. Adesso si indaga. E si cerca di capire il perché di questo malessere interiore che non è più riuscito a dominare. Orlando non faceva mistero della propria omosessualità. I suoi profili social trasmettono l’immagine di un ragazzo sorridente che aveva deciso di essere se stesso, al di là delle malelingue. Al di là di quelle «menti chiuse che hanno la bocca aperta», scriveva su Instagram.
Non è stato un percorso facile. I genitori sono separati, la mamma vive a 1.300 chilometri di distanza e lui non sempre andava d’accordo con il papà: un rapporto conflittuale con un genitore severo, poco incline a certi argomenti. La polizia sta scandagliando la vita del ragazzo e si cercano tracce anche nel cellulare. E man mano che le indagini vanno avanti, si aprono nuovi fronti investigativi. Se in un primo momento gli accertamenti si sono concentrati su omofobia e bullismo, ora si lavora su altre piste: il fascicolo aperto dal pm Antonella Barbera ipotizza il reato di istigazione al suicidio.
Certo è che Orlando non si sentiva completamente accettato: qualcuno, forse tra le mura domestiche, gli rinfacciava la sua omosessualità, altri ancora potrebbero essersi approfittati delle sue fragilità quando ancora era minorenne. «Ultimamente era turbato e aveva paura di qualcuno», ha raccontato il fratello Mario. Ma di chi? E perché? Tra gli amici qualcun altro si spinge più in là e sommessamente parla di «un brutto giro» e di un vago «ricatto» che non sapeva come affrontare. Confidenze che Orlando avrebbe fatto agli amici, ma anche ai docenti che il giorno prima di uccidersi ha voluto salutare uno per uno.
Nei giorni scorsi la preside Emanuela Golzio, alcuni insegnanti e compagni di scuola sono stati sentiti in Procura per capire cosa abbia raccontato il diciottenne. «Era un ragazzo splendido e perfettamente a suo agio nell’ambiente scolastico — spiega Golzio —. Siamo molti vicini alla famiglia. I suoi compagni sono rimasti profondamenti turbati. Il nostro compito di educatori è proteggerli e accompagnarli in un percorso che li aiuti ad affrontare il dramma». All’ingresso dell’istituto palloncini bianchi a forma di cuore sono legati stretti con un fiocco nero ai selfie scattati durante l’anno scolastico.
Fiori e striscioni, invece, invadono il parapetto del cavalca-ferrovia di corso Maroncelli dal quale si è gettato. E poco più in là, nei giardinetti, c’è la panchina dipinta di rosa dalle amiche Monica e Asya, madre e figlia. Resta lo sfregio di chi ha cancellato l’ultimo saluto: «Sarai sempre la mia sorellina».
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