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Dafne Roat per www.corriere.it
Lo scorso 31 ottobre nei boschi sopra Celledizzo, 350 anime nella Trentina Val di Sole un proiettile centra in testa Massimiliano Lucietti, cacciatore 24 anni. Il giovane, volontario del corpo dei Vigili del fuoco di Peio, resta ucciso sul colpo. In mano imbraccia ancora il suo fucile.
A ritrovare il corpo, lo stesso giorno, è Maurizio Gionta, 59 anni che fa parte del suo stesso gruppo venatorio. È lui che avvisa le forze dell’ordine. Passano 24 ore e Gionta viene trovato morto a poca distanza dal punto in cui era stato ritrovato Lucietti. Un suicidio. Nell’auto del cacciatore, viene trovato un biglietto in cui l’uomo di non essere incolpato per la morte del 24enne.
La chiave del giallo resta la perizia balistica sull’ogiva trovata accanto al corpo di Massimiliano Lucietti, il vigile del fuoco volontario di 24 anni ucciso il 31 ottobre da un colpo alla nuca. A dieci giorni di distanza dalla tragedia nei boschi di Celledizzo in val di Sole (Trentino) cresce l’attesa, ma i carabinieri del Ris di Parma hanno chiesto alla Procura più tempo.
L’operazione è complessa, l’ogiva nell’impatto si è molto deteriorata e gli investigatori del Raggruppamento investigazioni scientifiche stanno cercando di identificare la traccia lasciata dalla rigatura del fucile, che è simile a un’impronta digitale ed è determinante per capire da quale arma è partito il colpo mortale.
L’unico aspetto certo è che si tratta di una carabina Winchester calibro 270, la stessa che aveva Maurizio Gionta, l’ex guardia caccia in pensione, 59 anni, che si è tolto la vita 24 ore dopo aver trovato il corpo di Max. Un’arma molto comune tra i cacciatori, almeno una ventina in valle la possiedono. Ma quale è stato il fucile a sparare?
È uno degli interrogativi aperti a cui stanno cercando di rispondere i carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Trento e i colleghi della compagnia di Cles che hanno avviato approfondimenti tecnici e indagano nell’ambiente della caccia. Capire chi possiede quel tipo di fucile non è difficile, le armi vengono denunciate all’autorità di pubblica sicurezza.
In un momento di grande incertezza come questo è facile associare il proiettile che ha ucciso Massimiliano all’arma di Gionta perché è stato il primo a trovare il corpo ed era in zona, ma questo non significa nulla.
Questo tipo di fucile è molto potente ed è in grado di sparare e colpire anche da una distanza di cento metri. E la distanza è un altro punto da chiarire. Secondo la Procura il colpo fatale è partito da almeno mezzo metro, ma molto probabilmente di più. Nell’esame autoptico sul corpo di Massimiliano non è stato trovato quello che viene definito «tatuaggio», ossia il segno, la bruciatura, che viene lasciata se si spara da una distanza ravvicinata.
Non solo: sarà determinante capire anche in che posizione era il giovane vigile del fuoco. Il suo corpo è stato trovato in una posizione prona – come ha spiegato il procuratore Sandro Raimondi - come se nel momento in cui ha ricevuto il colpo alla nuca che ha messo fine alla sua vita, fosse steso a terra in fase di appostamento. Ma anche questa resta un’ipotesi.
Poi c’è il capanno sul quale era appostato Maurizio Gionta. La posizione non è secondaria, la geografia dei luoghi rende quasi impossibile il fatto che il colpo sia partito dal capanno. Non sarebbe riuscito a raggiungere Massimiliano da quel punto. Il giovane, altro particolare anche se non determinante, non indossava il giubbotto catarifrangente, in Trentino infatti non è obbligatorio. Ma il giallo ruota attorno anche ad un altro aspetto di grande tragicità.
Il gesto estremo compiuto da Gionta a sole ventiquattro ore di distanza dal ritrovamento del corpo di Max, il «gigante buono», come lo chiamavano in paese. Perché lo ha fatto? È una delle domande che continua a tormentare i familiari e gli investigatori. L’uomo è stato sentito a lungo come persona informata dei fatti, un lungo colloquio durato quasi quattro ore con i carabinieri dal quale era uscito, ricorda la famiglia, stremato.
Ma perché in una sola notte ha maturato la decisione di uccidersi? Non si può escludere, come lasciano intendere i familiari e il loro legale, l’avvocato Andrea de Bertolini, che non abbia retto alla pressione e ai sospetti.
L’uomo era stato sottoposto anche allo Stub che mira ad accertare se aveva sparato, ma questo accertamento non sarà risolutivo. Anche se l’esame fosse positivo significherebbe solo che ha sparato. E poi c’è il biglietto lasciato sul cruscotto dell’auto: «Non attribuitemi responsabilità che non sono mie». Cosa significa questa frase? Perché prima di togliersi la vita, ha lasciato la fede sul mobile e ha scritto queste parole, parole che sembrano gridare la sua innocenza
Cosa sapeva Gionta che non ha detto ai carabinieri? Forse sapeva che in zona quella mattina c’erano altri cacciatori? L’ex guardia forestale appena ha trovato il corpo di Max ha chiamato il papà del giovane, si conoscevano da tempo, erano ex colleghi, succede così in un paese piccolo come Celledizzo.
Maurizio era comprensibilmente provato. Il mistero è fitto e c’è un altro particolare: quel giorno i due cacciatori non erano soli nei boschi di Celledizzo. Max era uscito per una battuta di caccia in solitaria mentre Gionta era partito con un’altra persona, poi arrivati nel bosco si erano divisi come spesso succede.
Secondo quanto ricostruito erano almeno in quattro i cacciatori nel bosco, ma nel parcheggio c’erano più auto, forse erano di più. E allora chi ha esploso il colpo mortale? I carabinieri nei giorni scorsi hanno sentito altri due cacciatori, in particolare l’uomo che era con Gionta. Ha raccontato di essere stato lontano nel momento dello sparo, una versione pare confermata da un testimone.
funerale massimiliano lucietti
L’aspetto certo è che alle 8.20 l’uomo era nel bar del paese, meno di un’ora dopo della tragedia. Lo sparo era echeggiato anche in paese, si era sentito verso le 7.25, venti minuti dopo, alle 7.44 era arrivata la chiamata d’allarme alla centrale unica di emergenza 112. Subito prima l’ex guardia forestale aveva chiamato il papà di Max. «È morto vieni subito», aveva detto, disperato.
In paese nessuno ha voglia di parlare, Massimiliano era un gigante buono, era un ragazzo che tutti amavano e anche Gionta era stimato. Una doppia tragedia che colpisce al cuore una piccola comunità di sole trecento anime e che lascia tanti, troppi interrogativi aperti.
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