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DAGOREPORT - SE IN FORZA ITALIA IL MALCONTENTO SI TAGLIA A FETTE, L’IRRITAZIONE DI MARINA E PIER…
1 - IL VATICANO: UN ATTO DI DISTURBO DIFFONDERE LA LETTERA
Gian Guido Vecchi per il “Corriere della Sera”
BERGOGLIO SULL AEREO CON PADRE FEDERICO LOMBARDI
Padre Lombardi abbassa lo sguardo su un foglio, la dichiarazione intorno alla «strana lettera di cui si è parlato» è meditata parola per parola: «Chi ha dato a distanza di giorni questo testo e questa lista di firme da pubblicare, ha compiuto un atto di disturbo non inteso dai firmatari, almeno da alcuni dei più autorevoli. Occorre perciò non lasciarsene condizionare».
Il giorno dopo, al Sinodo, si cerca di ridimensionare l’effetto di ciò che il cardinale Müller, nell’intervista al Corriere , ha definito «un nuovo Vatileaks»: la «strana lettera» consegnata una settimana fa al Papa da un gruppo di cardinali conservatori e che qualcuno ha reso pubblica l’altro giorno mandandola a un blog. Un testo che contestava il regolamento sospettando che l’esito del Sinodo fosse orientato.
Ma né i firmatari né il contenuto sono chiari. «Io non l’ho scritta, ma il testo e l’elenco delle firme sono in parte errati», ripeteva ieri il cardinale australiano Pell: il quale, peraltro, ha confermato d’essere «un po’ preoccupato» per la composizione della commissione che scriverà il testo finale, scelta da Francesco. Il cardinale di New York Dolan conferma la firma. Quattro avevano smentito (Scola, Erdö, Vingt-Trois, Piacenza), altri quattro sono stati indicati al loro posto dalla rivista dei gesuiti America: Daniel Di Nardo (Usa), John Njue (Kenya), l’italiano Elio Sgreccia e il messicano Norberto Rivera Carrera.
IGNAZIO MARINO PAPA FRANCESCO BERGOGLIO
Ma quest’ultimo ha negato attraverso la sala stampa, Di Nardo esce dal Sinodo dicendo «di tutto questo non so nulla, né ha avuto alcuna eco: nessuno ne ha parlato», mentre Sgreccia si sofferma stupito: «Lettera? Io non ho mai visto né firmato nessuna lettera. All’inizio, visto che la metodologia era diversa dall’anno scorso, molti si sono chiesti cosa fosse cambiato, anch’io ho domandato chiarimenti. Tutto qui, non ho visto sospetti di sorta». Il cardinale Piacenza scuote la testa: «È un oggetto misterioso. Io non solo non l’ho firmata, ma non sapevo neanche che esistesse».
E i dubbi sulla commissione nominata da Francesco? «Il Papa decide quello che ritiene opportuno decidere». Si cerca di voltar pagina, la discussione prosegue. Notevole la proposta di una «devolution dottrinale» spiegata ieri dall’abate benedettino Jeremias Schröder: «In molti interventi si è parlato dell’ipotesi di affrontare le questioni in base al contesto culturale.
IGNAZIO MARINO PAPA FRANCESCO BERGOGLIO
La questione dei divorziati e risposati, per esempio, è molto sentita in Germania tra i fedeli e meno altrove. Anche la comprensione dell’omosessualità è culturalmente molto diversificata. Si potrebbe permettere alle conferenze episcopali di trovare soluzioni pastorali in sintonia col contesto». Sulla comunione ai risposati, il patriarca di Gerusalemme Fouad Twal taglia corto: «L’idea è decidere caso per caso».
2 - RICREARE IL CLIMA DI VATILEAKS IL PIANO DEI NEMICI DEL PAPA
Massimo Franco per il “Corriere della Sera”
Il piano degli avversari sta assumendo contorni più nitidi. E inquietanti. Prima la confessione liberatoria e provocatoria del teologo omosessuale polacco Krzysztof Charamsa a ridosso del Sinodo. Adesso, mentre è in pieno svolgimento, la lettera spuria di una decina di cardinali conservatori. E presto, chissà, un altro attacco obliquo nei confronti di papa Francesco. «Non sta arrivando un nuovo Vatileaks, ma qualcuno vuole dare quest’impressione per destabilizzare un pontificato che tenta di fare pulizia». Le parole di uno degli ecclesiastici più vicini a Jorge Mario Bergoglio sono preoccupate, perfino allarmate.
il papa scherza sulle suocere a filadelfia
Quanto sta accadendo può essere definito una provocazione, o un difetto di governo, o l’esasperazione di minoranze della Chiesa cattolica che si sentono fuori gioco e prossime alla marginalità. Da Casa Santa Marta, però, dove abita Francesco, l’analisi delle manovre di questi giorni è più radicale.
Fa pensare ad un’operazione progettata da tempo; e tesa a delegittimare non il Sinodo ma i due anni di papato argentino; a descrivere un episcopato in preda al caos, alle liti fratricide, quasi fosse la versione curiale del Parlamento italiano; e a risospingere tutto indietro, come se nei trenta mesi passati fosse cambiato poco o nulla.
Era accaduto qualcosa del genere già nella riunione precedente, a febbraio.
Anche allora la gestione «liberal» del Sinodo da parte di Bergoglio aveva provocato resistenze e reazioni, quando si era parlato di Comunione per le coppie divorziate. Era stata pubblicata una relazione che sembrava precostituire e sbilanciare l’esito di quell’assemblea. E lo stile «latinoamericano» del pontefice era stato additato come una delle cause della confusione e del disorientamento.
PAPA FRANCESCO BERGOGLIO MESSA A PHILADELPHIA
Ma stavolta si indovina una maggiore preordinazione: non tanto di Francesco ma dei suoi avversari. L’evocazione di Vatileaks sul Corriere da parte del cardinale Gerhard Müller, «custode» della Dottrina della Fede senza forse calcolarne del tutto le implicazioni, è stata a doppio taglio.
Involontariamente, Müller non ha solo fotografato la sua irritazione e il suo stupore. L’alto prelato tedesco, uno dei firmatari di una lettera della quale però sarebbe stato cambiato a insaputa sua e di altri cardinali anche il contenuto, si dev’essere sentito usato e strumentalizzato.
Come il «ministro dell’Economia» vaticano, cardinale George Pell, che ieri ha dichiarato: «Le firme sono sbagliate ma soprattutto la maggior parte del contenuto della lettera non corrisponde. Non so perché è successo né chi l’abbia fatta uscire così».
È una reazione che obbliga a pensare ad un’operazione assai poco cristiana; e che riporta in primo piano la consistenza di una «Internazionale tradizionalista» contraria al Papa per questioni dottrinali e di potere.
Ma quella parola, Vatileaks, rimanda allo scandalo emerso nella coda finale e convulsa del pontificato di Benedetto XVI. Ricorda i «leaks», le fughe di notizie dal Vaticano, affidate a quintali di documenti filtrati dall’Appartamento, la residenza di Joseph Ratzinger nel Palazzo apostolico, per mano del suo maggiordomo personale, Gabriele: un personaggio che continua ad apparire il maggior responsabile e il principale capro espiatorio di quella vicenda torbida.
JOSEPH RATZINGER TARCISO BERTONE_1
Fu in seguito a quelle rivelazioni che per la prima volta dopo sette secoli un Papa si dimise. L’uscita di scena traumatica di Benedetto XVI nel febbraio del 2013; l’elezione dell’argentino Bergoglio; la sua scelta di andare a vivere a Santa Marta, un albergo piuttosto spartano nella «periferia» della Città del Vaticano, invece che tornare nell’«Appartamento maledetto» di Benedetto: sono tutte conseguenze a cascata di quella vicenda, e cesure con un passato che la Chiesa cerca di archiviare, se non di rimuovere. Dire che sta per esplodere un nuovo Vatileaks trasmette invece l’impressione che, Bergoglio o Ratzinger, non cambia nulla.
ANGELO SCOLA ARCIVESCOVO DI MILANO jpeg
Esistono ancora i «corvi» che trafugano documenti e li danno in pasto strumentalmente all’opinione pubblica. Esistono le lotte di potere. E permangono maggioranze e minoranze in guerra. È questo il calcolo di chi getta tra i piedi del Sinodo un pretesto di tensione dopo l’altro: trasmettere con «verità» pilotate e inquinate, ma verosimili, l’idea di una realtà immutabile, soprattutto in negativo. Il rischio è accentuato dalla presa intermittente che Francesco sembra dimostrare sui gangli del potere «romano».
Nonostante la moltiplicazione di commissioni e riforme, la Curia appare sulla difensiva ma tuttora decisa a resistere ad uno stile di governo considerato allo stesso tempo troppo radicale e inconcludente.
Il fatto che nella cerchia papale si parli di un Vaticano schierato contro Bergoglio, affermazione che è un ossimoro, spiega almeno in parte la confusione e le manovre. Anche perché dentro le Sacre Mura si accredita un Papa ostile al Vaticano: che sarebbe un altro paradosso.
«Spero che ci troviamo davanti a una provocazione», confida un amico fidato di Francesco. «Non vorrei che fosse qualcosa di peggio. È il secondo attacco al Papa dall’inizio del Sinodo. Non ne escluderei un terzo o un quarto. Temo una manovra di destabilizzazione dall’esterno». Chi ne sarebbe il regista, e con quale obiettivo finale, non è chiaro neppure a chi la denuncia.
«L’unica cosa che posso dire è che non siamo nella situazione del 2013 prima delle dimissioni di Benedetto XVI. Qui nessuno perde la testa, anche se forse qualcuno lo spera», avverte l’interlocutore vaticano. Eppure, l’accenno a trenta mesi fa, un periodo che rivisto oggi sembra preistoria, dà i brividi.
L’accostamento induce a sospettare che qualcuno voglia indurre Bergoglio a gettare la spugna, a tornare nella sua Buenos Aires da perdente o da incompreso: sconfitto dall’eternità non della Chiesa ma dei meccanismi e delle dinamiche vaticane. «Ma non succederà», assicura un esponente latinoamericano. «Il Sinodo», aggiunge, «finirà bene, nonostante i tentativi di schiacciarlo sulle questioni più controverse.
Le minoranze, quella iper conservatrice e quella iper progressista, si riveleranno tali. E la stragrande maggioranza starà con Francesco». Un risultato, però, i critici più oltranzisti lo stanno ottenendo: seminano ombre, e i successi internazionali del pontificato sono tornati in secondo piano.
Si conferma la previsione di chi ritiene che, se vuole vincere davvero nel mondo, Bergoglio dovrà affrontare e superare la sfida che gli impone Roma. Oggi i suoi avversari più irriducibili non si annidano tra le folle plaudenti, ma nelle file del suo esercito ecclesiastico: perfino tra le «berrette rosse» che gli battono le mani. Per questo lo stillicidio continuerà. Ma anche le riforme, perché Francesco non può che andare avanti.
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