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Elisabetta Andreis e Gianni Santucci per il “Corriere della Sera”
Quasi 150 metri, e una fuga durata 20-25 secondi. Per comprendere il dramma del ragazzo di 22 anni sfigurato dall’acido bisogna ripartire da un indirizzo: via Giulio Carcano, zona Cermenate, civico 14.
È lì che, mentre cercava sul citofono il nome di un’inesistente ditta di spedizioni, alle 17.45 del 28 dicembre Pietro Barbini si trova alle spalle Martina Levato, studentessa della Bocconi, e Alexander Boettcher, suo amante e presunto complice. La ragazza ha in mano due contenitori di acido muriatico e li scaglia addosso a Pietro. Il ragazzo si toglie giubbotto e maglione, nel panico urla «papà scappa, papà scappa», poi inizia a correre.
alexander boettcher in tribunale
Una fuga a perdifiato, sul marciapiede, lungo la via che a quell’ora è buia e quasi deserta. Boettcher lo insegue stringendo nella mano sinistra un martello da cantiere. Non un inseguimento breve, ma una sorta di caccia che si conclude solo quando Pietro passa tra due macchine parcheggiate, d’improvviso si ferma, si volta e salta al collo del suo aggressore, sbattendolo sul cofano di un’auto.
le armi trovate a casa di alexander boettcher
Questa scena si svolge di fronte al civico 29 della stessa via Carcano, ma dal punto dell’agguato c’è una distanza di 150 metri. Che Pietro ha percorso senza vestiti, terrorizzato, con l’acido che iniziava a bruciargli il volto e l’occhio.
Oggi il ragazzo, studente di Economia a Boston, è ricoverato all’ospedale Niguarda in condizioni drammatiche. E proprio la dinamica dell’aggressione emerge ora come un elemento chiave dell’inchiesta, per due motivi. Primo, il ruolo avuto da Boettcher (difeso da Francesco Cieri e Jacopo Morandi); secondo, la gravità e l’irreversibilità degli sfregi al volto della vittima.
Martina Levato Alexander Boettcher
Martina Levato, nella prima udienza in Tribunale, ha cercato di scagionare il suo compagno («Ho fatto tutto io, lui non c’entra, si trovava solo in zona»), e innocente si proclama anche Alexander.
Ma il papà di Pietro Barbini, che aveva accompagnato il figlio a ritirare un pacco regalo (con questa scusa è scattata la trappola di via Carcano) e si è visto passare davanti il ragazzo inseguito per il lungo tratto da Boettcher, a sua volta si è messo a correre e infine ha tenuto l’uomo fermo fino all’arrivo della polizia. Cruciale, per valutare il ruolo di Boettcher nell’agguato e per spiegare la gravità delle lesioni sul volto di Pietro, la dinamica di quello che è successo .
I medici del Niguarda spiegano infatti che l’azione corrosiva dell’acido è determinata da tre fattori. La concentrazione (e qui, con tutta probabilità Martina ha usato un prodotto di uso domestico analogo a quello contenuto nelle sei bottiglie trovate nella casa dove si incontravano i due amanti). La quantità (Martina ha scagliato addosso a Pietro due recipienti simili a due bottiglie di plastica tagliate). E il tempo in cui l’acido rimane sulla pelle e penetra dentro ai tessuti: pochi minuti fanno una grande differenza.
Nell’agguato di via Carcano, Pietro ha corso per 150 metri, s’è voltato e ha bloccato il suo aggressore, nel panico e nella rabbia l’ha tenuto fermo, aiutato da suo padre e da un passante, finché qualcuno ha chiamato la polizia ed è arrivata la prima volante. Se è impossibile definire i tempi con assoluta certezza, si può però ipotizzare che l’acido sia rimasto sul volto di Pietro almeno 4-5 minuti, prima che il ragazzo entrasse in un bar a sciacquarsi e arrivasse l’ambulanza. Ecco perché ora dopo ora, nei dieci giorni successivi, pur se più volte operato e assistito dagli specialisti del centro Grandi ustionati, le condizioni di Pietro hanno continuato a peggiorare.
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