DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
Claudia Osmetti per Libero Quotidiano
Appena hanno messo piede nella Chinatown di Prato, con tanto di divisa d' ordinanza della Repubblica popolare cinese, sono stati presi d' assalto. Tanto che, nell' arco di un amen, la folla che li ha circondati ha fatto a gara di abbracci, strette di mano e perfino di selfie.
Già, perché Li Xiang e Hu Weibo non sono due agenti qualunque: sono due poliziotti del Dragone, hanno gli occhi a mandorla e arrivano direttamente dalla Cina. Il primo è nato a Xi' an, la città famosa per l' esercito di terracotta, il secondo a Zhejiang, la metropoli da cui proviene il grosso dei cinesi ora residenti in Toscana.
Chiariamo subito: sull' Arno i militari dell' estremo oriente non ci sono venuti in vacanza. Fanno parte di un progetto sperimentale lanciato dal ministero dell' Interno qualche anno fa e hanno un compito ben preciso: affiancare le forze dell' ordine tricolore, per facilitare ai connazionali che non parlano la nostra lingua l' approccio con le autorità locali.
Li e Hu hanno "timbrato il cartellino" per la prima volta ieri, a Prato ci staranno fino al prossimo 17 giugno, ma non sono gli unici ad aver varcato la frontiera per ragioni, diciamo così, di servizio: altri colleghi sono stati destinati alle strade di Milano, Roma, Firenze e Venezia.
«Queste misure sono state prese anche in altre città - commenta il Simone Faggi, il vicesindaco di Prato che in tasca ha anche la delega all' Immigrazione, - però a Prato c' è la comunità cinese più grande d' Europa: per noi l' interesse era doppio. In questa operazione non ci sono controindicazioni, tutto quello che può servire a incrementare il rispetto della legalità è ben accetto».
Della serie, purché funzioni. E il provvedimento in questione pare proprio che funzioni.
«L' anno scorso, come amministrazione, abbiamo sudato sette camicie per spiegare alle persone di origini cinese che non dovevano uscire con troppo contante appresso - chiosa Faggi, - la stampa ha coniato addirittura un' espressione, li chiamava "cinesi-bancomat".
Inutile sottolineare che erano facili prede di borseggiatori e ladruncoli. In queste settimane abbiamo un aiuto in più, un ponte, anche linguistico, per rivolgerci a questa fetta della popolazione».
Potrebbe anche sembrare una sciocchezza, ma non lo è per niente. Oltre ai cittadini naturalizzati italiani, infatti, ogni anno le nostre dogane aprono le porte a circa 1,3 milioni di turisti cinesi che scongiurano così di incappare in qualche episodio spiacevole.
Intendiamoci, Li, Hu e gli altri otto poliziotti asiatici non possono imbracciare armi né portare con loro pistole e manganelli. Ma seguono passo passo gli agenti italiani e mantengono «attiva anche una linea telefonica per ricevere assistenza in lingua cinese in caso di furti o incidenti stradali», aggiunge l' ambasciatore di Pechino in Italia, Li Ruiyu.
Insomma, il piano è strutturato a tutto tondo, comprende persino l' ipotesi che alcuni poliziotti italiani volino dall' altra parte del mondo a fare altrettanto e ha già incassato il plauso della comunità cinese stanziata nel Belpaese.
Il copione, quindi, è stato identico anche a Milano, dove ieri sono arrivate le tre unità che fanno parte del programma, e a Venezia, dove i distintivi del Dragone sono entrati in servizio lunedì.
«In passato è successo che i normali controlli dell' Arma nei capannoni del fiorentino creassero scompiglio e in qualche caso incomprensione - puntualizza Faggi, - se non si parla la stessa lingua è difficile capirsi. Per questo l' iniziativa diventa importante».
La pensano così anche i circa 282mila cinesi che hanno scelto l' Italia come "seconda casa" (sono il 5,6% degli stranieri nel nostro Paese) e a queste parole fanno eco quelle del questore di Prato, Alessio Cesareo: «I cinesi potranno trarre giovamento e profitto dalla presenza dei poliziotti che in prima battuta potranno dare loro consigli e fornire indicazioni».
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