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valeria della valle foto di bacco
L'Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani ha deciso di cambiare il sinonimo di donna dal suo "Vocabolario dei sinonimi" dopo che due mesi fa, sulle pagine di Repubblica, si era aperto un dibattito tra un gruppo di attiviste guidate da Maria Beatrice Giovanardi e scaturito in una lettera firmata da 100 donne e inviata alla Treccani.
Nella lettera l'Istituto veniva invitato a rivedere le espressioni che, alla voce eufemismi, elencavano termini ritenuti offensivi, tra cui "cagna" o "zoccola", tutte legate all'espressione "buona donna".
Valeria Della Valle, direttrice del vocabolario Treccani e condirettrice, con Giuseppe Patota, del Nuovo Treccani, ha spiegato a Repubblica che «non è stata una decisione improvvisa: fin dalle origini la Treccani si è rinnovata in base ai cambiamenti del costume e della società».
E che «pur non avendo io né diretto né lavorato mai a questo dizionario, ho condiviso con alcune delle firmatarie della lettera la necessità di fare qualche cambiamento e qualche taglio. I dizionari devono testimoniare l'uso scritto e parlato, buono e cattivo, rispettoso e volgare, naturalmente avvertendo quando si tratta di usi offensivi».
Toni completamente diversi da quelli utilizzati il 6 marzo 2021, quando, rispondendo all'appello delle firmatarie sul sito della Treccani, Della Valle spiegò che «[...] negli anni ’70, quando ero una giovane redattrice del Vocabolario Treccani, oltre a impegnarmi nelle nuove definizioni di voci come “donna” e “femminismo”, per citare solo le due che mi stanno più a cuore, eliminai con grande soddisfazione l’espressione “angelo del focolare”.
Me ne sono pentita, e ho fatto in modo che la locuzione, anni dopo, tornasse al suo posto. Eliminandola, avevo commesso un grave errore, perché quell’espressione, presente nell’uso parlato, in romanzi e articoli giornalistici, e oggi usata ormai solo scherzosamente e ironicamente, non deve essere cancellata, ma spiegata [...]».
E oggi dichiara su Repubblica che «un prossimo vocabolario sarà al passo coi tempi. I dizionari devono fotografare la realtà linguistica del proprio tempo, ma conservare anche gli usi legati a un passato che non possiamo censurare.
Impossibile produrre vocabolari asettici e politicamente corretti. Insomma, i dizionari sono tutt' altro che cimiteri di parole: per fortuna oggi se ne discute civilmente, in un confronto che non è più, come nell'Ottocento, una discussione tra lessicografi barbuti, maschi e misogini».
Solo due mesi fa invece scriveva che «pur apprezzando le ragioni di principio che hanno spinto cento donne a firmare la lettera, vorrei condividere una riflessione con loro. Siamo sicure che eliminando “puttana”, “cagna”, “zoccola” e “bagascia” dal vocabolario dei sinonimi contribuiremmo a migliorare l’immagine della donna?
Al contempo, allora, sempre nel “Dizionario dei sinonimi”, in una visione bipartisan dovremmo fare piazza pulita, alla voce “uomo”, di “uomo delle caverne”, che in senso figurato, scherzoso o spregiativo può indicare chi è (cito) barbaro, cafone, incivile, maleducato, primitivo, screanzato, selvaggio, tanghero, troglodita, zotico».
E sempre due mesi fa: «Sono convinta che non sarà invocando un falò (non solo simbolico) per bruciare le parole che ci offendono che riusciremo a difendere la nostra immagine e il nostro ruolo.
Anzi, vorrei che le espressioni più detestabili e superate continuassero ad avere spazio nei dizionari, naturalmente precedute dal doveroso avvertimento che segnala al lettore quando le espressioni o le frasi proverbiali citate corrispondono a un pregiudizio o a un luogo comune tramandato dal passato ma non più condivisibile.
Secondo qualcuno i dizionari sono “cimiteri di parole”: lo sarebbero se si limitassero a registrare una lingua plastificata, politicamente corretta, che rappresenti una realtà come la vorremmo. Credo, al contrario, che il nostro sforzo comune debba essere quello di fare in modo che la lingua del disprezzo esaurisca il suo corso, rimanendo però come testimonianza sociale, storica, letteraria, del passato. Con la speranza, questo è il mio augurio non solo da lessicografa, che la realtà (e poi la lingua) cambi, perché le parole non siano più solo femmine, i fatti non più solo maschi».
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