DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Estratto dell’articolo di Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”
Il processo è cominciato, e se ne occuperanno magistrati e avvocati. Ma per ricostruire il sequestro, le torture subite e l’omicidio di Giulio Regeni avvenuti in Egitto fra il 25 gennaio e il 3 febbraio 2016 c’è ancora bisogno dell’aiuto del governo italiano. Senza il quale il dibattimento davanti alla Corte d’assise di Roma rischia di restare una scatola mezza vuota.
«Sarà fondamentale ascoltare tutte le persone che hanno avuto strette relazioni con Regeni al Cairo — scandisce il procuratore aggiunto Sergio Colaiocco —. Su 73 testimoni, 27 risiedono in Egitto, e sarà quindi fondamentale che siano autorizzati a uscire dal Paese per venire in Italia a deporre davanti a questa Corte. Per questo, lo diciamo sin d’ora, servirà un proficuo lavoro del ministero degli Affari esteri che dovrà suscitare la collaborazione delle autorità egiziane. Solo la polizia egiziana, infatti, può notificare gli atti ai testimoni residenti in quel Paese e autorizzarne l’arrivo in Italia».
processo regeni -manifestazione fuori dal tribunale di roma
Due banchi più dietro, Paola e Claudio Regeni ascoltano e prendono appunti, come a voler fissare le parole del pubblico ministero. Verosimilmente fiduciosi ma scettici.
La collaborazione dell’Egitto per giudicare i presunti rapitori, torturatori e assassini del figlio Giulio, infatti, non c’è mai stata. Tranne qualche sprazzo iniziale che ha consentito agli investigatori italiani di comporre il quadro delle accuse mosse ai quattro funzionari della National Security, oggi imputati. Poi tutto si è bloccato.
«Su 64 richieste formulate da questa Procura alle autorità egiziana tramite rogatoria — ricorda il pm — solo 25 hanno avuto risposta, 39 sono rimaste inevase, di cui ben 13 finalizzate a identificare ulteriori soggetti appartenenti alla National security in qualche modo coinvolti nei fatti per cui si procede, purtroppo per noi ancora oggi ignoti».
All’Egitto è bastato aver contribuito a individuare i quattro imputati, peraltro già proclamati innocenti in una sorta di decreto d’archiviazione comunicato all’Italia quasi quattro anni fa, a dicembre 2020, per bloccare ogni successiva attività tesa a fare giustizia sulla morte di Regeni.
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processo regeni -manifestazione fuori dal tribunale di roma
Il processo non è all’Egitto né alle ragioni per cui la Repubblica araba non ha più collaborato con l’Italia, bensì ai quattro militari imputati che — sebbene assenti — hanno diritto a un giusto processo. Consentito solo da una sentenza ad hoc della Corte costituzionale. Gli avvocati difensori d’ufficio ascoltano e annotano: loro non hanno mai avuto contatti con i rispettivi assistiti, e in caso di condanna non potranno nemmeno proporre appello poiché con la riforma Cartabia è necessario un mandato specifico del cliente.
Tra i dieci capitoli in cui l’accusa ha diviso le fonti di prova ce ne sono un paio, belli corposi, dedicati ai depistaggi messi in atto «da molteplici soggetti anche appartenenti alla National security, per distogliere l’attenzione degli investigatori dagli appartenenti agli apparati pubblici egiziani». […]
«È il momento che aspettavamo da tanto tempo — commenta l’avvocata Alessandra Ballerini, accanto ai genitori di Giulio — non avremo mai gioia, ma soddisfazione sì». E sulle parole della premier Meloni dopo l’incontro di domenica col presidente egiziano Al Sisi: «Non commentiamo, diciamo solo che da noi fortunatamente c’è la separazione dei poteri, a differenza di quello che accade nei regimi». Ma anche in Italia, a volte il potere giudiziario ha bisogno della collaborazione del potere politico. Prossima udienza il 9 aprile, con la deposizione di Claudio Regeni.
sit-in per giulio regeni davanti al tribunale di roma di piazzale clodiomagdi ibrahim abdelal sharif helmy uhsam mohamed ibrhaim athar kamel i genitori di giulio regeni e la sorella irene manifestano a roma prima dell'inizio del processo sulla morte del figlio 1
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