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UNA PROFESSORESSA SCRIVE A "REPUBBLICA" SUL CASO DELLA RAGAZZINA RIMPROVERATA AL LICEO RIGHI MENTRE FACEVA UN VIDEO PER TIKTOK CON L'OMBELICO IN VISTA: "QUANTE VOLTE NOI DOCENTI DOBBIAMO CHIUDERE UN OCCHIO SU ABBIGLIAMENTI E COMPORTAMENTI INOPPORTUNI DA PARTE DEGLI STUDENTI. OMBELICHI A VISTA, MAGLIE TRASPARENTI E MINIGONNE INGUINALI, BRAGHETTE DA SPIAGGIA E INFRADITO. SE LAVORO IN BANCA, IN UNA CUCINA O NEI CAMPI NON MI VESTO ALLO STESSO MODO. PERCHÉ NON POSSIAMO INSEGNARE ANCHE QUESTO AI RAGAZZI, SENZA ESSERE TACCIATI DI BIGOTTISMO O PEGGIO DI SESSISMO?" - LA RISPOSTA DI FRANCESCO MERLO

Da “la Repubblica”

 

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Caro Merlo, sono un'insegnante della scuola secondaria. Le scrivo sul "caso Righi", il prof che ha apostrofato un'alunna per l'abbigliamento. Concordo sul fatto che le sue parole fossero sbagliate perché ponevano l'accento sull'aspetto sessuale/sessista. Ma mi associo al prof nel merito.

 

Quante volte noi docenti dobbiamo chiudere un occhio su abbigliamenti e comportamenti inopportuni da parte degli studenti, diventati oggigiorno la norma. Ombelichi a vista, maglie trasparenti e minigonne inguinali, braghette da spiaggia e infradito. A chi dice che la scuola ha problemi più importanti, rispondo che la forma non è inutile orpello, ma rispetto per l'istituzione e per tutti.

 

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Se lavoro in banca, in una cucina o nei campi non mi vesto allo stesso modo, così come in discoteca o al ristorante. Con un linguaggio che non sia offensivo né volgare, perché non possiamo insegnare anche questo ai ragazzi, senza essere tacciati di bigottismo o peggio di sessismo?

 

I docenti, per il suddetto motivo, non si esprimono più in pubblico, ma le assicuro che in aula-insegnanti fioccano commenti simili a quello del prof messo alla gogna. Una domanda: come reagirebbe un genitore se la prof. di matematica si presentasse a scuola con biancheria intima a vista e tacco 12 o se il preside ricevesse con pantaloni strappati e con metà fondoschiena in bella mostra?

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Prof Silvia Delsole -Parma

 

Risposta di Francesco Merlo:

I giovani studenti seguono la moda con insolenza, specie in ambienti, aule e uffici delle scuole pubbliche, che anche negli arredi sono spesso dominati da una logora sciatteria burocratica: la tristezza come decoro.

 

Penso che una modica quantità di provocazione sia fisiologica: a volte scoprono l'ombelico, o i jeans sono bucati e imbrattati di vernice, o la maglietta è trasparente. E però, come sempre accade in Italia, basta la scintilla di un ombelico e si incendia la prateria dell'estetica.

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Esplode il dibattito sul look: alcuni insegnanti, alla ricerca di regole e rigore, la mettono già dura con la società delle apparenze, si scatenano i jeansologhi delle varie scuole, i tradizionalisti che coprono e i futuristi che scoprono, i lookisti contro i latinisti, mentre i soliti anglofili invocano le divise.

 

Così gli studenti si autoconvincono di rifare la rivoluzione che nel famoso 68 cominciò con le minigonne. Ma, cara prof Delsole, qual è il confine fra il loro conformismo e il suo decoro? Cosa direbbe quel prof se i ragazzi si presentassero con i bastoncini di giunco e le camicie ampie alla spadaccina, e le ragazze in lungo e in nero? Sospetto che troverebbe più tranquillizzante un ombelico in trasparenza.

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