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1 - COSÌ JOSEPH RATZINGER CONTESTÒ LE TESI DI PAOLO VI
Paolo Rodari per “la Repubblica”
Nel 1968 il futuro papa criticò le posizioni di Montini poi accolte nell' enciclica "Humanae vitae" Rimarrà sorpreso chi ritiene che la dottrina di Humanae Vitae, l'ultima enciclica di Paolo VI, siano irriformabili. Infatti, a leggere il testo di Joseph Ratzinger, Per una teologia del matrimonio, ora pubblicato da Marcianum Press, a cura di Nicola Reali (ne riproduciamo qui un brano), e curiosamente non inserito nella sua Opera omnia, si comprende come le argomentazioni di Humanae Vitae erano per il teologo tedesco tutt'altro che insindacabili.
Anche se il testo di Ratzinger è stato scritto nel '68, e dunque prima dell' enciclica, il contenuto (pubblicato un anno dopo) è riferibile a quanto del dibattito teologico in corso in quegli anni Paolo VI ha inserito nel suo lavoro. Spiega Reali: «Il testo esprime una presa di posizione (del tutto legittima) su quel dibattito. L'averlo pubblicato, senza cambiare nulla, un anno dopo, è fatto che, con non meno evidenza, segnala la partecipazione attiva alla discussione che è seguita alla pubblicazione dell'enciclica».
Montini dichiarò, fra le altre cose, l'illiceità della «pillola» e degli altri mezzi contraccettivi.
Ratzinger, come ha ribadito anche in una recente intervista con Peter Seewald, pur mettendo in discussione l'insegnamento di base del testo, ne fa emergere la fragilità del fondamento su cui si basa l'argomentazione di fondo.
Per lui la morale cristiana su matrimonio e famiglia non può far leva solo sulla legge naturale poiché questa deriva l'elemento eticizzante della relazione coniugale dalla sfera animale, riducendo la sessualità quasi alla mera riproduzione della specie. I precetti morali cristiani, invece, possono essere rispettati solo in una prospettiva di fede: là dove il cristiano - come ricordava anche Lutero - si riconosce sempre «simul iustus et peccator».
2 - MA L'INDISSOLUBILITÀ DEL MATRIMONIO NON È UNA LEGGE DI NATURA
Testo di Joseph Ratzinger pubblicato da la Repubblica
È chiaro che dalla corretta interpretazione sacramentale del matrimonio cristiano discende necessariamente la sua unità e indissolubilità: in quanto realizzazione - nella fedeltà dell'uomo - della fedeltà di Dio all' Alleanza, il matrimonio cristiano esprime la definitività e l'irrevocabilità del "sì" divino nella definitività e irrevocabilità del "sì" umano. Solo questo è veramente conforme alla fede e, pertanto, realizzazione di un vero ethos cristiano.
La possibilità di scelte irrevocabili, che la fede dischiude, appartiene ai tratti fondamentali dell'immagine dell' uomo che la fede stessa implica. Allo stesso tempo si deve però ricordare senza esitazioni che dal puro diritto naturale non si può dedurre l'unità e l'indissolubilità del matrimonio. La "natura" del matrimonio è il suo essere nella storia e la sua naturalità si compie solo negli ordinamenti storici.
Anche l' ordine della fede è un ordine storico, sebbene esso veda in Cristo la forma definitiva della storia e debba quindi attribuire alla pretesa della fede un carattere incondizionato. (...) Il tentativo di interpretare giuridicamente questo appello sovralegale e sovragiuridico porta, già nella comunità ecclesiale descritta da Matteo, a includere di nuovo nel diritto la « durezza di cuore » dell' uomo e a procedere di conseguenza.
georg e joseph ratzinger ratisbona
Sicuramente si può dire che proprio in queste clausole sul divorzio che ora appaiono, la pretesa di Gesù, la quale demolisce la casuistica e porta al suo superamento, viene di nuovo trasformata in una posizione casuistica e in questo modo si rinnova il rischio di perdere qualcosa della serietà del principio.
Allo stesso tempo, però, occorre riaffermare che la recezione da parte della Chiesa non può essere separata dalla parola di Gesù; e con assoluta chiarezza qui si ribadisce che la parola di Gesù è sì l'incondizionato punto di riferimento di ogni matrimonio cristiano, ma non una nuova legge nel senso stretto della parola. Su questa base si può comprendere perché nella Chiesa d'Oriente già molto presto, in caso di adulterio, sia stata concessa la possibilità di divorziare al coniuge non colpevole e per lungo tempo siano state riconosciute analoghe possibilità anche nella Chiesa latina.
Ciò corrisponde al fatto che l'uomo anche nel Nuovo Testamento ha bisogno di indulgenza a motivo della sua "durezza di cuore", che egli è giusto solo in quanto peccatore giustificato, che secondo la fede il Discorso della montagna è un criterio valido, ma non rappresenta la forma giuridica del suo vivere insieme. Da ciò non si deve concludere che anche la Chiesa di Occidente dovrebbe rendere il divorzio una possibilità del proprio diritto canonico similmente a quanto fanno le chiese ortodosse d' Oriente.
Mantenere l'indissolubilità come un puro diritto della fede ha un profondo significato.
Ma allora la pastorale deve lasciarsi determinare più fortemente dai limiti di ogni giustizia e dalla realtà del perdono; essa non può considerare in modo unilaterale l'uomo macchiatosi di questa colpa peggiore rispetto a chi è caduto nelle altre forme di peccato.
Essa deve diventare consapevole con maggiore chiarezza delle peculiarità proprie del diritto della fede e della giustificazione per fede e trovare nuove strade, per lasciare aperta la comunità dei fedeli anche a coloro che non sono stati in grado di mantenere il segno dell' Alleanza nella pienezza della sua pretesa.
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