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Quirino Conti per “la Repubblica”
Lo sguardo esterrefatto, incredulo: come a cercare conferma attorno a sé per un improvviso smarrimento; quindi, irrefrenabile, “ma dove sono finiti quei bei biondoni di un tempo?!”, tuonato come si fosse a Venezia dopo un’inspiegabile sparizione delle gondole, su un Canal Grande brulicante di pedalò. Perché egualmente disperato appariva il Grande Couturier, e senza più alcuna fiducia di ritrovarli, infine, quegli ossigenatissimi indossatori.
Iniziò così, nel rimpianto, l’ascesa dei nuovi modelli concettuali nel mondo dello Stile: ossuti, senza un muscolo addosso, l’occhio vitreo e immusoniti. Intorpiditi e assenti. Quando lo Stile decise una nuova corporeità per le sue leadership fisiognomiche e un certo ingobbimento divenne un buon punto di partenza per una carriera di successo. Comunque, mai come si è visto recentemente a Parigi.
Con citazioni letterali da Frankenstein e volti e arti quali neppure il crudelissimo Schiele avrebbe potuto immaginare così deformi. Spaventosi e come selezionati da un atlante di fisionomie lombrosiane. E per meglio sottolineare la stortura segaligna di quelle gambe, qualcuno le ha persino strizzate in leggings al ginocchio. Confidando forse in una celebre confessione di Picasso: “Più li faccio brutti, più piacciono!”.
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