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Andrea Galli per www.corriere.it
Kevin Jorge Terko Olguin Sepulveda
Nella banda del «robo del siglo», il furto del secolo come in Cile hanno ribattezzato l’assalto a un portavalori (rubati undici milioni di dollari, pari a dieci milioni di euro), c’era un ragazzo mingherlino di nome Kevin Jorge Terko e di cognome Olguin Sepulveda. Il ragazzo, cileno di 22 anni, conosce Milano per averci abitato: lo provano una vecchia fotografia davanti al Duomo sul suo profilo Facebook («spento» dal 2012) e la presenza in Lombardia della compagna, localizzata sia in case nel «barrio» di via Padova, in un insieme di palazzi abitati in prevalenza da sudamericani, sia nella multietnica Pioltello, hinterland.
DAI CARAIBI A MILANO
Gli investigatori italiani, alla caccia del bandito in seguito al mandato di cattura internazionale, sono sicuri che Olguin Sepulveda, dopo il «colpo» e dopo un’iniziale sosta a Santo Domingo, abbia trascorso del tempo con la compagna in Italia e a Milano. A settembre era pronto un blitz in contemporanea in due presunti «covi», blitz fallito perché si sono messi «di mezzo» un terremoto e un giornalista involontariamente incauto. Il rapinatore potrebbe ancora essere nei paraggi.
Kevin Jorge Terko Olguin Sepulveda
Gode della protezione della comunità e di un’ottima dotazione di documenti falsi. Forse potrebbe girare con l’identità di alcuni parenti; dovrebbe essere pieno di soldi. Se è confermato che il commando, in azione alle sei del 12 agosto 2014 nell’aeroporto internazionale «Arturo Merino Benitez» di Santiago del Cile, con l’attacco nell’area cargo dello scalo a un furgone della Brinks, una compagnia americana di trasporto valori, era formato complessivamente da otto-nove uomini, questi si sarebbero spartiti il bottino con una fetta di (almeno) un milione di dollari a testa.
TRE MINUTI CON I FUCILI
Il «robo del siglo» fu fulmineo. Tre minuti per entrare in aeroporto a bordo di un furgone bianco travestiti da uomini della sicurezza, incrociare e fermare il portavalori per «controlli» e far scattare la trappola, con la protezione di fucili d’assalto e scorta di munizioni. In Cile, dell’inchiesta, si occupano i locali carabinieri, che da allora sono risaliti alla maggior parte dei componenti della banda.
Kevin Jorge Terko Olguin Sepulveda
Qualcuno s’era nascosto in Cile, altri si erano trasferiti in Brasile per poi tornare, invano convinti che le indagini fossero bloccate e che il piano fosse perfetto per preparazione, esecuzione e fuga. Lo pensa(va) anche Olguin Sepulveda, che sarebbe stato l’autista del commando. A Milano, come detto, aveva già lasciato delle tracce e vanta agganci. Magari l’enorme distanza dalla sua nazione gli bastava per star tranquillo.
Però a settembre le nostre forze dell’ordine - in particolare la Guardia di finanza con intuito e metodo - erano arrivate alla compagna agganciandola dopo una visita in un pronto soccorso pediatrico. L’avevano seguita e avevano scoperto la vasta disponibilità di case utilizzate a rotazione. Del bandito non erano invece emerse tracce fisiche ma c’era la forte convinzione di una sua presenza tra via Padova e Pioltello. Ulteriori accertamenti avevano spinto per l’operazione. Era la settimana del 16 settembre.
QUELLE INTERVISTE FATALI
Kevin Jorge Terko Olguin Sepulveda - la rapina al portavalori
La data non è casuale: il 16 settembre un terremoto ha colpito il Cile, provocando morti, feriti, sfollati. A Milano, per seguire l’Expo, insieme ai giornalisti stranieri ce n’era anche uno cileno. I capi lo chiamarono e, per evitare i soliti pezzi sull’Esposizione che procedeva verso la fine e per stare più sull’attualità, lo invitarono a farsi un giro fra i connazionali a Milano. Sia mai che saltassero fuori parenti delle vittime; o comunque, avrebbe pur sempre potuto recuperare un articolo di voci di migranti che male non faceva. Il giornalista, obbediente, si mosse e cominciò a percorrere i quartieri dove vivono i cileni.
Andò al Corvetto e andò in via Padova. Citofonò, domandò, bussò, e della sua visita venne a conoscenza la compagna di Olguin Sepulveda. Lei si spaventò, pensando che il cronista volesse stanare il suo uomo per conto dei carabinieri cileni. Il bandito, probabilmente, tagliò la corda. Quel giornalista (le verifiche degli investigatori hanno confermato la sua «buona fede»), ha scritto un pezzo sulla vicenda, sostenendo che la fuga del rapinatore è avvenuta poche ore prima della probabile cattura.
Le autorità cilene si sono portate avanti: hanno prospettato una condanna minima di quindici anni e hanno pronta la richiesta di estradizione. Prima, naturalmente, Olguin Sepulveda dev’essere preso. Lo vogliono tutti: carabinieri, poliziotti, finanzieri. Lui, nelle datate foto su Facebook antecedenti il «robo del siglo», era solito mettersi in posa con indice e medio a raffigurare la «v» di vittoria. Giovane e criminale, ricco e spavaldo.
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