DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Giovanni Bianconi per il Corriere della Sera
«È morto troppo tardi, doveva morire cinquant' anni fa», mormora nel suo incorreggibile dialetto siciliano Santino Di Matteo, il pentito di mafia che ha confessato la strage di Capaci e al quale Cosa nostra, dopo le sue prime dichiarazioni ai magistrati, ha rapito il figlio tredicenne Giuseppe, ucciso dopo due anni di segregazione.
Un ex mafioso, colpevole di tanti omicidi, a sua volta vittima della mafia che adesso dice: «Sono contento che è morto Totò Riina, così finalmente si chiude un capitolo».
Un capitolo che anche lei ha contribuito a scrivere, con i delitti che ha commesso.
«Certo, perché noi l' abbiamo seguito e abbiamo sbagliato. Ci siamo fidati delle famiglie che gli stavano intorno, come i Madonia, i Ganci, i Brusca, e lui si faceva forza dell' appoggio di questi. Gli hanno lasciato troppo spazio, e lui ci ha rovinato a tutti. Se invece negli anni Sessanta chi lo voleva togliere di mezzo l' avesse fatto...».
Chi voleva toglierlo di mezzo a quell' epoca?
«Giuseppe Ruffino, uno di Corleone che non vedeva di buon' occhio né lui né Calogero Bagarella, quello ammazzato nella strage di Viale Lazio. Riina aveva paura di Ruffino, e evitava di incontrarlo. Poi Ruffino è morto nel suo letto e Riina non ha avuto più ostacoli. Ha fatto arrestare Luciano Liggio ed è rimasto solo lui a comandare».
Ma come ha fatto a comandare su tutti gli altri?
«Perché era ignorante come una capra, ma molto furbo. Organizzava tragedie, metteva tutti uno contro l' altro con le voci che lui stesso faceva circolare, e poi si alleava con uno dei due per ammazzare l' altro. Destinato a essere ammazzato con la tragedia successiva».
E da dove veniva tutta questa voglia di uccidere e togliere di mezzo gli altri?
«Sempre dall' ignoranza, perché lui a volte nemmeno riusciva a capire quello che dicevano le altre persone, pensava che lo prendessero in giro, cosa che lui non tollerava.
E decideva di uccidere. Voi parlate sempre di "guerra di mafia", ma la guerra l' ha fatta solo lui, gli altri l' hanno subita. È stato uno sterminio, non una guerra».
Possibile che tutto, fino alle stragi del 1992, derivi solo da questo?
«Certo, perché Riina s' era messo in testa di attaccare lo Stato. Non ha preso ordini da altri, è lui che ha deciso che lo Stato doveva mettersi in ginocchio davanti a lui. Ma si può pensare una cosa del genere? Invece di convincerlo a fare accordi ti metti a fare le stragi? Solo lui, nella sua ignoranza, poteva pensare di restare in piedi dopo quello che ha deciso di fare».
Lei ha mai pensato a fare obiezioni?
«E come facevo? A parte che mi pare di averlo visto l' ultima volta prima della strage di Capaci, dopo non lo ricordo. Lo andai a prendere per accompagnarlo a un appuntamento a Palermo. Avrei dovuto incontrarlo di nuovo il giorno che l' hanno arrestato, perché era convocata una riunione e c' ero anch' io che lo aspettavo insieme agli altri, ma poi s' è saputa la notizia e ce ne siamo andati tutti».
E nei processi dove lei ha deposto contro di lui?
«È rimasto sempre in silenzio, a differenza di quando parlavano gli altri collaboratori. Io spiegavo ai giudici che questo era un morto di fame, che l' avevano vestito le nostre famiglie, e lui zitto. Il maresciallo che mi accompagnava s' è stupito ma io no, perché lo conosco bene, e so che personaggio è e non poteva dirmi niente».
Dopo il suo pentimento, suo figlio è stato rapito e ucciso su ordine di Brusca, oggi pentito come lei.
«Io quello non gli perdono, in Cosa nostra si ammazzava ma i bambini no. Ma è colpevole anche Riina. Lui stava in carcere, però a suo cognato Leoluca Bagarella che era ancora libero poteva mandare a dire di lasciare andare quel ragazzino innocente. Non l' ha fatto, e questo significa che c' è pure il suo zampino. È una carogna, come dicevano i suoi paesani. Meno male che è morto».
2. MORTO RIINA, SFIDO’ LO STATO
Franca Giansoldati e Claudia Guasco per il Messaggero
l corpo di Totò u curtu è su un tavolo d'acciaio dell'istituto di medicina legale, in un seminterrato dell'ospedale maggiore di Parma. Due giorni fa aveva compiuto 87 anni, di cui 24 passati in carcere in regime di 41 bis. Totò Riina non si è mai pentito e per lui un funerale pubblico «è impensabile», ammoniscono i vescovi. Se in chiesa è entrato da vivo, per sposare la moglie Ninetta Bagarella, non ci tornerà da morto.
ARRIVA LA FAMIGLIA
Operato due volte nelle ultime settimane, da dieci giorni era in terapia intensiva nel reparto detenuti dell'ospedale e da lunedì scorso in un coma farmacologico che lo ha accompagnato fino all'ultimo battito, alle 3.37 di giovedì notte. Oggi i medici eseguiranno l'autopsia, decisa dal capo della Procura di Parma Antonio Rustico poiché «si tratta di un decesso avvenuto in ambiente carcerario e che quindi richiede completezza di accertamenti, a garanzia di tutti».
Per disporre gli esami, come atto dovuto il pm Umberto Ausiello ha aperto un fascicolo a carico di ignoti ipotizzando il reato di omicidio colposo e ha informato del procedimento i famigliari, in quanto persone offese. Poi il capo dei capi sarà restituito alla moglie Ninetta e ai quattro figli. Stanno raggiungendo Parma alla spicciolata, tutti tranne Giovanni condannato all'ergastolo per quattro omicidi. Salvo è partito ieri mattina da Padova, dove è in libertà vigilata, Lucia, la più piccola, da Corleone e Maria Concetta dalla provincia di Brindisi. Nonostante il permesso straordinario firmato dal ministro della Giustizia Andrea Orlando nessuno di loro ha ancora visto il padre, ed è mistero fitto su Ninetta Bagarella.
Arriverà oggi, dice qualcuno. Se è stata accanto al marito negli ultimi istanti, lo ha fatto nell'ombra, infilandosi da uno degli ingressi laterali del padiglione. La polizia controlla a vista il portone principale, vietato avvicinarsi, il boss è un sorvegliato speciale anche da morto. Del resto, come afferma il colonnello Sergio De Caprio, il «capitano Ultimo» che ammanettò Riina, «è una questione che riguarda lui, la sua famiglia e Dio». Poi ricorda: «Quando l'abbiamo catturato l'ho guardato negli occhi e ho capito che era un vigliacco». Ma per molti invece il capomafia era un padre. Per il figlio prediletto Salvuccio, naturalmente, che ha scritto su Facebook: «Per me tu non sei Totò Riina, sei il mio papà. E in questo giorno per me triste ma importante ti auguro buon compleanno papà». Ma anche per il pentito Gaspare Mutolo, ex autista e uomo di fiducia del boss, che per rilasciare la seguente dichiarazione si presenta incappucciato: «Riina era un uomo carismatico, per me è stato un papà. Non abbiamo mai litigato, a un certo punto ognuno ha preso la sua strada».
«PUBBLICO PECCATORE»
Ora a Ninetta Bagarella e ai figli non resta che attendere l'autorizzazione alla sepoltura per riportare Riina a Corleone. Nessun funerale pubblico, al massimo una preghiera privata: la misericordia, anche volendo, per il padrino sarebbe inapplicabile. Sulla mafia non si deflette, nemmeno davanti alla richiesta di esequie (che comunque per il momento non è pervenuta dai famigliari del boss). Forse in passato, soprattutto in terra siciliana, il rigore non sempre era stato applicato alla lettera dai parroci, anche solo per evitare il pubblico scandalo. Ma con Papa Francesco si è registrato un cambio di passo, una sensibilità accresciuta circa il pericolo mafioso. Che risalta anche nelle parole del vescovo di Monreale, la diocesi dove c'è Corleone e dove il boss dei boss verrà tumulato nel camposanto locale.
«Con la morte di Totò Riina è finito il delirio di onnipotenza del capo dei capi, ma la mafia non è stata sconfitta e non bisogna abbassare la guardia. Il compito della Chiesa è educare le coscienze alla giustizia e alla legalità e contrastare la mentalità mafiosa». Monsignor Michele Pennisi non sa ancora quando la salma di Riina verrà trasportata in Sicilia. La decisione spetta al Prefetto di Palermo. Una cosa però è chiara: «Trattandosi di un pubblico peccatore non si potranno fare funerali pubblici». I familiari qualora dovessero inoltrare la richiesta per un rito esequiale, potranno strappare giusto una preghiera al cimitero, in forma privata.
Senza nessun altro. «In quel cimitero è sepolto Bernardo Provenzano. Anche per lui era stata fatta una preghiera, ma nessun funerale in chiesa e in pubblico». Ora c'è il timore che la tomba di Riina possa diventare meta di turismo di fanatici o curiosi. Il rischio è alto e nessuno esclude che il Prefetto di Palermo possa disporre la tumulazione altrove. Un po' come è stato fatto quattro anni fa con Erich Priebke, sepolto in un luogo ignoto, coperto dal segreto di Stato per non alimentare pellegrinaggi di estremisti.
toto riinaARRESTO DI TOTO RIINARIINA PROVENZANO
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