![matteo salvini giorgia meloni](/img/patch/12-2023/matteo-salvini-giorgia-meloni-1932935_600_q50.webp)
DAGOREPORT - GIORGIA MELONI SOGNA IL FILOTTO ELETTORALE PORTANDO IL PAESE A ELEZIONI ANTICIPATE?…
Filippo Ceccarelli per “la Repubblica”
“Salve, Dea Roma! Chinato a i ruderi” s’infervorava Giosuè Carducci. E prima di lui Goethe, ai piedi del colle da cui è infine ruzzolato l’ennesimo sindaco: “Perdona, l’eccelso/ monte del Campidoglio è un secondo Olimpo per te”.
DENISE PARDO FILIPPO CECCARELLI
Beati i poeti e i viaggiatori, un po’ meno i romani. Di recente si è venuto a sapere che il predecessore del povero Marino, l’ineffabile Alemanno, mentre il “Cecato” e quell’altro ex galeotto redento di Buzzi stavano a “ munge ” la vacca e a “ magnasse ” Roma, ha trovato il tempo per far bonificare i suoi uffici capitolini da chi, da che cosa? Dai fantasmi. Ma sul serio.
Per due notti, tra il dicembre 2011 e il gennaio 2012, il capo dei vigili urbani, pure lui adesso impicciato in storie poco edificanti, ha accompagnato a Palazzo Senatorio un gruppo di “Ghost hunters” con specialissimi rilevatori nell’opera di accertamento e disinfestazione spettrale.
Beati dunque pure gli acchiappa-fantasmi, che sul loro sito hanno pubblicato le evidenze foto-ectoplasmiche di quella singolare caccia. Un po’ meno beati gli utenti di “Roma capitale”, come inutilmente è stata ribattezzata la Città eterna nel corso del suo più recente e accelerato decadimento.
Roma infatti è Roma, senza bisogno di ulteriori orpelli, né di estremi compatimenti. “ Annatevene via tutti, lassatece piagne da soli ” si trovò scritto su un muro dopo l’occupazione tedesca e quella americana. E tuttavia di solito qui il pianto dura poco.
Così c’è da pensare che i romani, i veri romani, sia quelli che lo sono “per speciale concessione di Nostro Signore Gesù Cristo”, come diceva Petrolini, sia quelli di elezione per così dire spirituale, anche stavolta abbiano accolto con rassegnato scetticismo quanto avveniva dalle parti del Campidoglio. Tale stato d’animo si configura come la risultante, perfino razionale, di antica desolazione e sempiterno sghignazzo.
Per condividerne l’essenza si può ritornare con la memoria alla prima, trionfale e surreale pedalata in salita di Marino alla volta del piazzale michelangiolesco, ma più ancora alla tenera, inconsapevole e sorridente ingenuità con cui l’eletto, felice come un bimbo, posteggiò con tanto di lucchetto la sua rossa bici giusto nei pressi della scalinata sotto la quale si consumò lo spaventoso linciaggio di Cola di Rienzo, archetipo del potente che prima viene incensato dalla cittadinanza e poi finisce male, malissimo.
Come pure è irresistibile riandare al soggiorno fantozziano del sindaco, della giunta e dei consiglieri di maggioranza che, fattisi volonterosi ostaggi di una società di team building in un hotel di Tivoli, per due giorni si esercitarono a “fare squadra” trastullandosi con elastici, palline, secchi d’acqua e canne — di bambù, si spera — all’insegna del visioning e dell’ high- performing , che basterebbero i nomi per diffidare. I risultati di quei giochi senza frontiere sono oggi sotto gli occhi di tutti.
Per cui già dopo la scomunica pontificale andavano in scena buffonesche duplicazioni tipiche del genius loci : la telefonata del finto Renato Zero, “ A’ Ignaziè, ricordate dee buche... ” o la fuga in bici dell’imitatore-sosia di Marino che scambiato per l’originale veniva coperto d’insulti e rincorso da un tipo armato di forchetta. Più che semplici spettacoli, veri e propri rituali di degradazione — e anche in questo campo, per natura, vocazione e tradizione l’Urbe non teme concorrenza.
E però: pazienza, che ce voi fa’ ? Roma, ha osservato il prefetto Gabrielli, è pur sempre una città che sta in piedi da più di duemila anni. Verissimo. La questione semmai è come; o meglio, secondo quali logiche, quali paradigmi, quali dispositivi e quali modalità di comando, sia temporale che spirituale.
Vedi l’aggravante del Giubileo. Della misericordia, per giunta, già santificata negli ultimi due o tre mesi dal record di campi rom fatti abbattere dall’amministrazione di sinistra per fare numero e per fare pulizia in vista dell’Anno Santo. In simultanea con la misera sagra degli scontrini e delle carte di credito si conferma quindi, ove mai ce ne fosse stato bisogno, la più consolidata vocazione dell’Urbe: “ Ch’a sto paese già tutto er busilli — scolpisce Giuseppe Gioachino Belli — sta in ner vive a lo scrocco e fa orazzione ”.
IL PATTO DELLA PAJATA UMBERTO BOSSI E RENATA POLVERINI CHE LO IMBOCCA
Sbafo e preghiere, fumi di pietanze e d’incenso, comunque “ magnà e arimagnà aggratise ”, c’è su questo una fantasmagorica epopea che culmina nel motto “ Ajo ojo e Campidojo ”: il crollo dell’amministrazione Giubilo sulle minestrine degli asili, i banchetti sbardelliani nelle pinacoteche, il patto della pajata a piazza Montecitorio con la Polverini che infila un rigatore sgocciolante nella bocca storta di Umberto Bossi, mentre dalla folla sale il canto, “La società dei Magnaccioni”, inno ufficiale di Roma grassa, “ Ce piacciono li polli, l’abbacchi e le galline,/ perché so senza spine, nun so’ come er baccalà ”...
RENATA POLVERINI FA DA TATA A UMBERTO BOSSI LO IMBOCCA DI RIGATONI
Approfittare del proprio status di potere, ma intanto mostrarsi il più possibile devoti. Programma mirabilmente realizzato da Alemanno, supremo defensor fidei e grandissimo espositore di presepi, che la mattina, in processione lungo il Tevere poneva la capitale nelle mani della Madonna Fiumarola; e la sera bissava l’ossequio mariano dinanzi alla copia dell’antica statua fatta scolpire e acquistata a beneficio di qualche riguardoso circolo canottieri, prima del cocktail e in compagnia di Giordano Tredicine, oggi pure lui parecchio nei guai per Mafia capitale.
In nessun’altra città al mondo la contiguità con la sfera del sacro e la vicinanza alla Santa Sede creano tanti guai, malignità, equivoci, dileggi, cinismo, risate. Si è letto che il povero Marino, venuto in possesso del numero di Papa Francesco, lo tempestava di telefonate a tutte le ore del giorno e della notte. Ma il suo predecessore di centrodestra, in un’udienza, arrivò a invocare la benedizione di Benedetto XVI sugli atti amministrativi del Comune — che francamente, considerate le sorpresine trovate poi in quelle carte dalla Procura della Repubblica, viene pure un po’ da chiedersi cosa sarebbe accaduto senza benedizione.
Ha scritto l’altro giorno l’ Osservatore romano che al momento Roma “ha la certezza solo delle proprie macerie”. Ma anche qui, sulle macerie, pur con tutto il rispetto per il severo giudizio, bisogna intendersi. Venire al mondo nella Città eterna, oltre che uno scomodo privilegio, significa nascere letteralmente fra le rovine. Viverci in mezzo, passeggiarci a fianco, uscire di casa e trovarsele regolarmente sotto il naso.
Scavi, schegge, frammenti, spezzoni, stratificazioni, pezzi di marmo dentro i muri, ruderi, avanzi, spoglie, screpolature, accumuli, vestigia, tracce di sventramenti. Da secoli i viandanti — oggi gli extracomunitari e qualche senza casa — vi trovano riparo, non ospitalità, come in un’incisione di Piranesi.
MARINO CADE IN BICICLETTA DAVANTI AL COLLEGIO ROMANO
Le rovine sono anche splendide, non solo all’alba o al tramonto, in cima crescono rigogliosi ciuffi d’erba, e in primavera anche fiorellini dai colori prepotenti; alla base c’è quasi sempre posto per rovi, zeppi vari, getti, arbusti e perfino fusti di fichi selvatici; a metà è il regno dell’edera, di ulteriori rampicanti, ma non mancano generosi cespuglietti di capperi.
Di fronte a questo paesaggio di vitale, botanica devastazione viene spontaneo pensare che tutto è destinato a crollare, a consumarsi, a finire. Che tutto in fondo è utile e al tempo stesso inutile. Non sarà il massimo dell’ottimismo, ma è pur sempre un pensiero, meno dannoso forse di tanti altri.
Neanche a sincronizzare le date, proprio in questi giorni di scirocco in cui rotolava dal colle capitolino la testa dell’ex sindaco, a Palazzo Altemps, autentico gioiello di sculture, pace e bellezza circondato dal caos, si è aperta una mostra dal titolo: “La forza delle rovine”, con tanto di logo con le lettere incomplete, smozzicate.
Qui tutto ruota attorno a un enorme torso di Polifemo e si imparano tante cose: che l’angelo della storia non passa mai invano; che la vita, con i suoi traumi e con ciò che questi lasciano, è sempre ambivalente, incompleta e contraddittoria nel suo inesorabile spezzettamento; che le avanguardie artistiche del Novecento adoravano i frammenti; che proprio questi, oltre a ispirare una voluttuosa malinconia, consigliano di conservare la memoria e di concentrarsi sul “non più” e sul “ma ancora”.
E piano piano si capisce che Roma trae segreta energia dalle sue antiche pietre, dalle sue stesse gloriose e catastrofiche rovine.
Insieme alle celebri statue ci sono quadri, foto, filmati, anche musiche. Però poi Roma è sempre Roma — non “Roma capitale” — e così davanti ai magnifici ritratti dei primi grandi restauratori, il cavalier Cavaceppi, lo scultore Pacetti, riaffiora l’irriverente, ma spassoso ricordo di Berlusconi che innamoratosi anche lui delle sculture romane, e fattosene traslocare diverse a Palazzo Chigi, poco prima che partisse la sarabanda del bunga bunga si preoccupò e si peritò di far ricostruire da zero il pisello di un Marte che campeggiava fuori della sua stanza, intervento realizzato con specialissime resine e calamite al non modico prezzo di settantamila bombi.
“Tutto si aggiusta” diceva d’altra parte la vecchia zia di Andreotti, Mariannina, che aveva vissuto la breccia di Porta Pia convincendosi che Roma è più forte e soprattutto è più vecchia di qualsiasi civico rivolgimento. Ma questo spaventoso passato, che Freud mise a confronto con le incrostazioni, le falde e i trabocchetti dell’inconscio, le sta troppo stretto e insieme troppo largo.
ignazio marino in bici visto da spinoza
Secondo Elias Canetti è proprio la risorgente e imperitura enormità della Città eterna che impedisce all’Italia di trovare se stessa. Jung d’altra parte se ne tenne ben lontano: “Ho viaggiato molto nella mia vita, ma sentivo di non essere all’altezza dell’impressione che Roma mi avrebbe fatto”.
In compenso da Brenno ad Alarico, dai Borgia ai lanzichenecchi, da Napoleone ai “buzzurri” piemontesi con le piume sul cappello, dai crudeli e pallidi nazisti agli alleati che entrarono tirando sigarette, cioccolato e scatolette di carne dai loro carriarmati, qui sono venuti tutti, senza trovarsi poi così a disagio.
Dice: la capitale è allo sbando, i ladroni e i mafiosi seguitano a rubare, è caduto il sindaco marziano, manca pochissimo al Giubileo. E la risposta dei veri romani, per quel poco o per quel tanto che vale, già sbuffa e volteggia per le vie in forme di stupefatta e forse perfino sapiente incuriosità: Aho’ , anvedi , eddaje , embé , vabbé , maddeché , li mortè ...
ROMA FORI
centurioni e gladiatori a roma ai fori imperiali
VIA SACRA NEI FORI ROMANI
FORI LUCI
FORI LUCI
FORI - IMPALCATURE DEL CANTIERE
IGNAZIO MARINO E MATTEO RENZI AI FORI ROMANI
ROMA DECADENCE ROVINE CECATO BELLI
Impropri sussulti, voci strozzate che valgono per omnia saecula saeculorum.
DAGOREPORT - GIORGIA MELONI SOGNA IL FILOTTO ELETTORALE PORTANDO IL PAESE A ELEZIONI ANTICIPATE?…
DAGOREPORT – MUSK È IL “DOGE”, MA IL VERO BURATTINO DELLA TECNO-DESTRA USA È PETER THIEL. PER…
FLASH! - TRA I FRATELLI D’ITALIA SERPEGGIA UN TERRORE: CHE OLTRE AI MESSAGGINI PRO-FASCISMO E AI…
DAGOREPORT - MA CHE È, LA SCALA O UNO YACHT CLUB? IL REQUISITO PRINCIPALE PER ENTRARE NEL CDA DELLA…
PAPA FRANCESCO COME STA? IL PONTEFICE 88ENNE È TORNATO DAL BLITZ DI 9 ORE IN CORSICA DEL 15…
LA “SANTA” NON MOLLA – DI FRONTE AL PRESSING SEMPRE PIÙ INSISTENTE DEI FRATELLI D’ITALIA, COMPRESO…