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Simone Mosca per “il Venerdì di Repubblica”
L'autunno padano nel 1868 non fu allegro per Dostoevskij che lo subì con la moglie durante un tour europeo e se ne lamentò scrivendo a casa. «Due mesi fa attraverso il Sempione ci siamo trasferiti a Milano. Qui il clima è migliore ma la vita più cara, piove molto e per di più ci annoiamo mortalmente».
Andrej Burstev, traduttore e interprete simultaneo nato a Mosca nel 1955 e oggi residente in zona Città Studi, insiste sul concetto di "cara", cioè sull'inflazione e la decrescita che non lo fanno felice come un tempo.
«È un problema di downshifting, scalare di marcia. Milano negli anni 80, quando arrivai, era un'altra cosa. Chiesi la prima volta 200 mila lire per dieci minuti da interprete a una conferenza. "Meglio se facciamo 500 mila, 200 è poco, che figura facciamo?". Ecco, Milano non è più stata così. Chissà, forse ha sperperato, come sperperiamo noi. Ci somigliamo».
andrej burstev traduttore e interprete simultaneo
La Russia oggi a Milano scalda il cuore di chi per caso si chiama Mosca di cognome (come me); agli altri si nasconde, è una memoria dal sottosuolo, e perciò è una fantasia nutrita di stereotipi, figurine rubate alla rinfusa tra le righe di meschine spy story.
O di macchiette riciclate stile Vanzina dai primi del 2000, quando si favoleggiava di oligarchi che depredavano in contanti Montenapoleone e via della Spiga per poi divertirsi la notte in promiscui lettoni offerti dal potere locale.
«Amo i pub, qui vicino non è niente male la pizzeria Hot Meeting» confessa con candore ancora Andrej, russo vero che a Mosca, nato privilegiato in pieno comunismo («mio padre era geologo, fece una buona carriera senza doversi inginocchiare») in piazza Puskin e spinto in carrozzina dalla mamma al parco del Cremlino («il più vicino a casa») andava a scuola col nipote di Nikita Kruscev. «Ora è morto anche lui poverino, era dolce e paffuto. E comunque la Russia se mai è stata ricca, lo è stata fino al 2006».
tatiana kozac nel suo negozio di alimentari a porta venezia
Esistono hacker che ricattano il Pianeta da sperduti paesini delle steppe, esiste la Russia a Milano e senza computer da decenni, una comunità sfuggente, gassosa, che viene voglia di respirare proprio ora per capire cosa pensi degli oppositori avvelenati, dei carri armati al confine con l'Ucraina, del via vai di ambasciatori convocati o espulsi. «È complicato» si scusano alla fine pressoché tutte le gocce intercettate della misteriosa nube rifiutando di commentare la geopolitica lasciata al di là degli Urali.
Pare che siano circa 4 mila i russi doc residenti a Milano e provincia, sarebbero poco meno di 20 mila contando i russofoni provenienti da Ucraina, Moldavia, Kazakistan, Georgia, insomma dalla galassia dell'antica Urss.
uliana kovaleva produttrice cinematografica a milano
Tenendo fuori dal conto gli irregolari, è sicuro che la maggioranza di russi e russofoni ufficiale sia donna (secondo alcune stime almeno per il 70 per cento) così come non c'è dubbio che Milano sia la capitale della Russia italiana.
«Due mogli, due figli mandati al classico Manzoni, ma Milano per me è stata un caso» conclude Andrej mostrando la collezione di dischi e nastri con le Early Tapes dei Beatles e la teca in cucina dove luccica la spilla in cirillico che recita "Forza Italia" sotto il viso di Berlusconi.
«A Pratica di Mare tradussi Putin che lo incontrava. Ogni traduttore si fa un'opinione che non può rivelare; la mia, da interprete anche di Gorbaciov, è che oggi ci sia troppa aggressività quando è ospite un russo in Italia».
Comunisti e calciatori
Milano per i russi non è un caso. Nel 1946 fu qui che Rossana Rossanda insieme ad intellettuali come Antonio Banfi fondò l'associazione Italia Russia per incoraggiare scambi culturali, affari, spostamenti liberi da un lato all'altro di cortina e ideologie.
«Facciamo ancora la stessa cosa, e ne abbiamo superate tante di divergenze senza esporci» ride la direttrice Annalisa Seoni. Sarda che in zona Lampugnano, dopo aver studiato il russo, è rimasta a guidare l'istituzione ora presieduta da Gianni Cervetti.
Al fianco ha la collega Anastasja Lobanova, arrivata in Italia dopo aver studiato a Mosca il teatro italiano, le maschere di Pirandello. Uno, nessuno e centomila. «Non sappiamo dire se i russi si facciano notare così poco perché siano schivi, discreti, prudenti, furbi. Sappiamo che si considerano europei mentre gli europei considerano ormai i russi un'incognita, come se prima o poi dovessero esserne divorati».
Seoni e Lobanova mostrano le sculture di Aleksej Blagovestnov, moscovita e milanese, che da mesi erano in mostra ma invisibili causa Covid. E ricordano che è da loro che l'ucraino Andry Shevcenko imparò in italiano a dire «Pallone d' Oro» così come insegnarono la lingua di Dante ad Aleksej Mordashov, principale azionista e presidente di Sverstal, colosso minerario ed energetico.
Lui sì, Mordashov, uno degli uomini più ricchi di Russia. «L'associazione promuove anzitutto la cultura». Seoni consiglia di recuperare i celebri versi di Tjutcev. «La Russia non si intende con il senno/ né la si misura col comune metro/ la Russia è fatta a modo suo/ in essa si può soltanto credere».
irina nazarenko davanti alla sua libreria in zona paolo sarpi
Irina Nazarenko, nata in Ucraina nel 1981, sposata con un milanese, ha aperto nel 2019 Knigagrad, piccola libreria in cirillico di zona Chinatown specializzata in titoli per l'infanzia. «Detestavo lavorare per datori che con elasticità italiana chiedevano prestazioni fuori orario». Meglio dedicarsi in proprio e liberi alle fiabe, alle poesie illustrate di Pasternak o Brodsky. «Se siamo una comunità a Milano? A volte. Russia e Ucraina? Bisogna ricordare che in Ucraina oggi è impossibile trovare libri in russo, i punti di vista come vede sono importanti».
Caviale a merenda
Alle colonne di San Lorenzo si siede Uliana Kovaleva, produttrice cinematografica che nel 2009 presentò gli esordienti Riondino e Ragonese in Dieci inverni a Venezia, organizzatrice del Premio Felix, festival di pellicole russe.
«Ci sono sei scuole di russo per bambini a Milano. Ognuno sceglie. Per giudicare la Russia di Putin dovrei tornarci. Giudicare l'Italia, invece, è un gioco in cui siamo più bravi di voi. Non capite la magia che abitate. Comunità russa a Milano? Siamo cosmopoliti, amiamo integrarci in silenzio. Orgogliosi noi? Lo siete poco in patria ma all'estero non siete diversi dai russi».
vlada novikova autrice di un libro sullo scenografo russo della scala nicola benois
Vlada Novikova, originaria di Mariupol, 50 anni, tre lauree, è anche lei sposata con un italiano. «Mi ha convinta a vivere a Milano e poi a Monza. Milano è una meravigliosa velocità». Ha pubblicato un libro su Nicola Benois, leggendario scenografo russo alla Scala. Una volta, ricorda, mandò sua figlia in gita con una schiscetta insolita.
«Non c'era nient'altro in casa. Le feci delle crêpes ripiene di caviale». Il caviale si mangiava una volta allo Yar di via Mercalli, scomparsa oasi di vodka e borsch anni 90, si compra ora al Kalinka di via Boscovich, zona Porta Venezia.
«Vanno molto la panna acida, l'aringa, i cetrioli, il salame nostrano che agli italiani piace così così» dice con accento incerto Tatiana Kozac alla cassa mentre tre modelle e due studenti infilano nel sacchetto una vodka indecifrabile e un'icona di Maria.
«Sant'Ambrogio è veneratissimo in Russia, come San Nicola. I pellegrini o vengono a Milano e vanno a Bari. A Roma no, c'è il Papa» ride Anastasia Lavrikova, arrivata a Milano con la madre nel '94. Nata nella fu Volgograd nel '76, ha cinque figli, ha fondato un'associazione, ha scritto un libro («per ora solo in russo») dove celebra i compatrioti come caso perfetto di integrazione.
«Però giudicare la Russia di Putin dall'Italia è come dire dalla panchina all'arbitro quando fischiare». Tuttavia è l'unica a sapere perché Sant'Ambrogio sia così amato dai russi. «Si oppose all'imperatore Teodosio e gli impedì di entrare nella sua basilica milanese».
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