DAGOREPORT – LO “SCAMBIO” SALA-ABEDINI VA INCASTONATO NEL CAMBIAMENTO DELLE FORZE IN CAMPO NEL…
Niccolò Carratelli per “la Stampa”
Reazioni fisiche, prima ancora che politiche. La scarcerazione di Giovanni Brusca è «un pugno nello stomaco», dice Enrico Letta, «uno schiaffo alle vittime», secondo Giorgia Meloni, «una cosa disgustosa», attacca Matteo Salvini, «fa venire i brividi», aggiunge Antonio Tajani. Il giorno dopo l' uscita dal carcere di Rebibbia del killer mafioso, l' uomo che azionò la bomba che uccise Giovanni Falcone a Capaci, la polemica si divide tra chi si indigna e chiede di cambiare la legge sui pentiti e chi si indigna ma richiama il rispetto delle norme, visto che Brusca ha usufruito dei benefici previsti per i collaboratori di giustizia e ha finito di scontare la sua pena.
Alla prima squadra si iscrivono, con toni diversi, i partiti di centrodestra, a cominciare dalla Lega: «Se la legge lo permette bisogna cambiare la legge - dice Salvini - è inaccettabile che una persona che ha ammazzato cento persone possa passeggiare per Roma». Sulla stessa linea il presidente della Sicilia, Nello Musumeci, secondo cui «se una norma è palesemente sbagliata va cambiata».
Giorgia Meloni non fa riferimenti normativi, ma è comunque durissima: «Che orrore, una vergogna, uno schiaffo morale alle vittime - il suo tweet - Brusca torna in libertà anche grazie agli sconti di pena. Solo le vittime, in Italia, scontano una pena senza fine». Per il coordinatore di Forza Italia, Antonio Tajani, «è impossibile credere che un criminale come Brusca possa meritare qualsiasi beneficio: questa non è giustizia giusta».
Dice la sua anche Claudio Martelli, ministro della Giustizia all' epoca degli attentati di Capaci e via D' Amelio: «Brusca avrebbe meritato non uno ma più ergastoli - attacca - Non credo si sia pentito, né redento, se c' è stata collaborazione con lo Stato è perché c' è stato uno scambio: la confessione dei delitti, la delazione rispetto ad altri mafiosi».
Poi c' è l' altra squadra, di chi non nasconde lo sconcerto per il ritorno in libertà di Brusca, ma ricorda che «questa è la legge», come il segretario del Partito democratico, Enrico Letta, che cita Maria Falcone, sorella del magistrato ucciso nel 1992: «Ha detto che quella legge l' ha voluta anche il fratello e quindi va rispettata, perché è una legge che ha consentito tanti pentimenti e arresti e ha permesso di scardinare la criminalità e la mafia».
La pensa così anche la capogruppo di Italia Viva alla Camera, Maria Elena Boschi, perché «è chiaro che ci fa male e faccio fatica ad accettarlo, ma chi sceglie la strada della Costituzione e dei diritti pensa che vadano rispettati anche quando non fa comodo».
Per l' ex presidente del Senato ed ex procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso (Leu), addirittura «lo Stato con Brusca ha vinto tre volte: la prima quando lo ha arrestato, la seconda quando lo ha convinto a collaborare, la terza ora che ne ha disposto la liberazione, mandando un segnale potentissimo a tutti i mafiosi in carcere, che la libertà, se non collaborano, non la vedranno mai». A proposito di magistrati, scontata la presa di posizione del presidente dell' Anm, Giuseppe Santalucia, in difesa di «regole che sono state correttamente applicate. Non credo che il pentitismo abbia esaurito la sua funzione e la sua efficacia nel sistema giudiziario».
Non sembra d' accordo Tina Montinaro, moglie di Antonio, caposcorta di Falcone morto con lui a Capaci: «È vero che la legge l' ha voluta Falcone, ma lui aveva pochi pentiti - spiega - dopo, invece, ne sono arrivati altri mille, ma la verità sulla strage ancora non si conosce. Vuol dire che qualcosa non ha funzionato, lo Stato in questa vicenda dimostra un fallimento».
Non ci sta nemmeno Rosaria Schifani, vedova di Vito, anche lui tra gli agenti morti a Capaci: «Ma che Stato è questo che celebra con il presidente della Repubblica a Palermo il 23 maggio e, otto giorni dopo, manda a casa uno che fa saltare un' autostrada - si sfoga - È un regalo a Falcone? Così si dimentica tutto quello che noi abbiamo passato».
Non vuole sentir parlare di perdono Franca Castellese, la madre di Giuseppe Di Matteo, il bambino di 12 anni, figlio di un pentito, rapito, ucciso e sciolto nell' acido da Brusca, alla fine del 1993: «Rispettiamo le leggi e le sentenze dello Stato - fa sapere attraverso il suo avvocato - ma Brusca mi ha ucciso il figlio che conosceva bene e con cui ha giocato a casa. Non c' è stata mai una forma di pentimento, nel mio cuore come posso perdonarlo?».
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