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Salvatore Riggio per www.corriere.it
Dennis Rodman non cambierà mai. Chi ama il basket sta avendo il piacere di vederlo in azione con i Chicago Bulls di Michael Jordan nella serie «The Last Dance» ma nel frattempo l’ex campione eclettico e dalle mille sfumature continua a far parlare di sé. Nel podcast «Hotboxin» di Mike Tyson, l’ex stella Nba ha raccontato di un viaggio in Nord Corea, avvenuto nel 2013.
Pensate un po’, c’era andato proprio al posto dell’immenso MJ. «Quando mi è stato detto che sarei andato in Corea del Nord, pensavo che avrei firmato qualche autografo e giocato una partita di basket», ha raccontato Rodman. «Sceso dall’aereo, mi aspettava il tappeto rosso e un’ottantina di persone vestite elegantemente mi ha circondato, chiedendomi se fossi contento di trovarmi nel loro paese».
Surreale il primo approccio con il leader Kim Jong-un: «All’esibizione con gli Harlem Globetrotters ero vestito normalmente, non giocavo. Alcune persone mi chiesero di seguirle e in quel momento ho pensato mi arrestassero. Mi avvicino a una delle grandi sedie regali che erano state poste a bordo campo e i 22mila presenti si alzano in piedi, applaudendo. Penso che si rivolgano a me e ricambio il saluto, ma un addetto mi fa presente che è diretto al loro leader. «Leader di... cosa?», penso io. Non avevo idea di chi fosse».
Ma alla fine niente manette ai polsi. Anzi: «Mi ha detto che apprezzava la mia compagnia e che avrei dovuto continuare la serata con lui, tra vodka e karaoke. Solo che a cena abbiamo esagerato con l’alcol e Kim ha iniziato a cantare. Ero davvero molto ubriaco, non avevo idea di cosa stesse dicendo. Poi arriva un coro di ragazze e comincia a intonare sempre la stessa canzone, mi sembrava la sigla di “Dallas”».
Un’amicizia che è durata anche dopo, ma Rodman ha concluso raccontando il perché adesso non sia più come prima: «Quando sono stato in Corea del Nord, la figlia di Kim aveva solo sei mesi, giocavo con lei e le ho regalato anche una mia maglietta. Era come se fossi uno di famiglia. Però, quando sono tornato negli Stati Uniti, mi sono accorto che controllavano il mio telefono. È per questo che ora ne uso vecchio stile, a conchiglia».
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