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Pietro Barghigiani per http://m.iltirreno.gelocal.it
Qualcosa di più di una carezza. Qualcosa di meno di un rapporto completo. Di sicuro furono visti avvinghiati in una sala riservata del carcere del Don Bosco. Ora quelle effusioni sono diventate un avviso di chiusura delle indagini che il sostituto procuratore Paola Rizzo ha notificato ai due protagonisti dell’abbraccio sensuale.
All’allora detenuto e alla sua compagna il magistrato contesta il reato di atti osceni in luogo pubblico aggravato dalla presenza di minori. Mentre i due si scambiavano baci e palpeggiamenti accanto avevano un bambino, il loro figlio. Era il 19 febbraio scorso e a quella evidente premessa di amplesso assistette un agente della penitenziaria attraverso il sistema di videosorveglianza. Immagini eloquenti quelle riferite nell’informativa consegnata in Procura pochi giorni dopo il fatto.
L’episodio avvenne nella “Sala delle Nuvole”, un locale abbellito ed attrezzato con giochi per consentire ai detenuti e alle loro famiglie, soprattutto a quelle con bimbi piccoli, di effettuare colloqui e di avere il necessario contatto per una parvenza di vita familiare.
All’epoca i sindacati denunciarono: «In questa postazione, la quale noi affermiamo essere inadeguata allo scopo, non è prevista alcuna unità di polizia penitenziaria, ma solo una misera telecamera - scrisse Claudio Caruso, vicesegretario regionale dell’organizzazione sindacale Osapp Toscana - e siccome l'occasione fa l'uomo ladro, un detenuto e la compagna non hanno avuto alcuna esitazione a dar luogo ad effusioni amorose, davanti al proprio figlio minore intento a giocare. Pare che il collega che incidentalmente ha visto la telecamera, in quanto oberato da carichi di lavoro nella sala colloqui principale, abbia avvisato i superiori notando lo strano atteggiarsi della donna seduta in braccio al compagno, che non lasciava spazio ad immaginazioni».
L’avvio di chiusura delle indagini anticipa la richiesta di rinvio a giudizio. Per quegli attimi di passione, la coppia a luci rosse senza freni inibitori rischia di finire a processo. Non tanto per l’atto in sé, ma per averlo consumato in un carcere e con un bimbo a pochi metri.
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