FLASH! - IL DAZISTA TRUMP, PER SPACCARE L'UNIONE EUROPEA A COLPI DI TARIFFE SUI PRODOTTI ESPORTATI…
Selvaggia Lucarelli per “Libero quotidiano”
Ormai è la prassi. Arriva una sentenza su un caso mediatico e il condannato di turno, prima ancora di diventare un detenuto, diventa un hashtag (il cui simbolo non a caso è quello della grata di una cella). È - inevitabilmente- accaduto ieri con Alberto Stasi. Un fiume di commentatori s’è riversato sul web e ha sentito la necessità di dire la sua al mondo con le consuete argomentazioni da bar, partorite con trasporto dalle seguenti categorie tipo di utenti:
IL GIUSTIZIALISTA ALL’ITALIANA.
È quello che non ha neanche capito bene chi abbia commesso l’omicidio, chi sia la vittima e quale sia stata la condanna, ma per lui l’importante è che qualcuno marcisca in carcere e buttino le chiavi nella fossa delle Marianne. Legge di un furto di pedalini all’Oviesse da parte di due adolescenti e sbraita per ore cose come «Li devono mettere in galera e non devono uscire più questi piccoli delinquenti». Poi magari lo convoca a scuola il preside perché il figlio ha cercato di dare fuoco all’insegnante di educazione fisica e «Che sarà mai, sono ragazzate, le abbiamo fatte tutti».
IL DETECTIVE MANCATO.
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È quello convinto di essere il figlio illegittimo della signora in giallo. Lui vede cose che sono sfuggite al Ris, ha il fiuto del cane molecolare e i mezzi dell’Fbi. È quello che sa tutto lui. Che suggerisce piste non ancora battute dagli investigatori. Quello che siccome l’assassino aveva delle scarpe con i gommini sulla suola, si domanda se qualcuno abbia verificato l’alibi di Della Valle. E scherzo fino a un certo punto. Chiedete alla redazione di Quarto grado o di altri programmi di cronaca nera. Nei casi di mancato ritrovamento del corpo della vittima, ci sono spettatori che scrivono alla redazione «Il corpo non si trova perché l’assassino se l’è mangiato». Giuro.
IL GARANTISTA ESTREMO.
È colui per il quale l’unico assassino certo è quello che uccide a roncolate la suocera in diretta tv mentre Ilaria Cavo lo sta intervistando. Il resto, sono illazioni tese a sostenere fragili teorie probabilistiche che non mirano alla ricerca della verità ma di un colpevole. Tu gli dici: «Eh ma ci sono le sue impronte sul manico del coltello!» e lui: «Beh, come fai a escludere che ce le abbia messe qualcun altro?».
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«E come si fa a mettere le impronte di un altro sul manico di un coltello?». «Magari il vero assassino gli aveva dato il cinque prima di afferrare il coltello!». «Ma va. Magari hanno le stesse impronte digitali». «Ma c’è una probabilità su un miliardo». «Perché, quante ce n’erano che la Madia diventasse ministro?». E così via.
IL LOMBROSIANO.
Quello che dopo 15 anni di processi, appelli e cassazione, l’imputato viene condannato e lui «Io l’ho sempre saputo, ha la tipica faccia da assassino». Che se il criterio fosse questo, Casaleggio come minimo avrebbe il cadavere di Pizzarotti nel freezer. Il giurista de noantri. Quello che nella vita ha una tabaccheria, scrive un pistolotto di sessanta righe commentando la sentenza nei dettagli, discutendo l’operato dei pm e contestando la condanna come un giurista consumato, poi tu replichi «Ma del quadro indiziario che ne pensi?» e lui «Ho una stampa di New York in salotto, ma in generale preferisco le pareti vuote».
O anche «Oggi c’è stato l’incidente probatorio!» e lui «S’è fatto male qualcuno?».
IL DIETROLOGO-COMPLOTTISTA.
È quello che entra nella discussione con la consueta domanda enigmatica «Ma non vi siete chiesti perché l’imputato ha quell’avvocato di grido?». «No, perché?». «Perché l’assassino è il cugino del nonno dello zio del giardiniere di Alfano, lo sanno tutti!».
Oppure «Il vero assassino non era la madre ma il pappagallo indiano, solo che hanno trovato un falso colpevole per non pregiudicare il rilascio dei marò». Il radicale elastico. È quello che «per carità, io sono contrario alla pena di morte, contrarissimo, che cosa barbara, ma in questo caso…».
E «in questo caso» può essere qualsiasi cosa, dall’omicidio efferato di una donna alla soppressione di una scimmia con l’ebola, a seconda della sua sensibilità. È quello, insomma, che «Nessuno tocchi Caino finché non girano le palle a me».
IL GIUSTIZIERE DELLA NOTTE.
Quello che prima di cena scrive un post di novantasette righe in cui giura che se qualcuno gli ammazzasse un parente, altro che carcere, lo aspetterebbe fuori dall’aula di tribunale e dopo aver esploso centoventuno colpi lo appenderebbe per le palle al lampadario, gli farebbe lo scalpo e darebbe in pasto il cuore agli avvoltoi. Poi la moglie gli dice «Apparecchia e pure di corsa!» e scappa lasciando il post a metà. Il lontano parente.
Quello che lui la vittima la conosceva perché la consuocera aveva fatto la madrina al battesimo della sorella di lei. Ovviamente lei era una brava ragazza ma aveva uno sguardo un po’ triste, si vedeva che c’era qualcosa che non andava. Poi uno replica che bastasse una faccia triste per essere condannati a morte a quest’ora mezzo Pd sarebbe stato falciato e il discorso finisce in caciara, come sempre sul web.
IL CORONISTA.
Quello che ormai qualsiasi cosa tu dica, da «Stasi s’è beccato sedici anni» a «Sai mica con chi gioca il Genoa domenica?», lui replica indignato «E poi al povero Corona hanno dato 15 anni!». Fabrizio Corona è diventato il parametro della giustizia mondiale. Il giorno in cui arresteranno il numero uno dell’Isis, lo porteranno a Guantanamo dicendogli «E ricorda che Corona è in carcere per molto meno».
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