DAGOREPORT - CHI L’HA VISTO? ERA DIVENTATO IL NOSTRO ANGOLO DEL BUONUMORE, NE SPARAVA UNA AL…
Emanuela Griglié per “la Stampa”
A letto con il robot. Con la prescrizione del medico e, chissà, rimborsati dall' assicurazione sanitaria. Uno scenario possibilissimo e soprattutto dietro l' angolo, secondo la terapista americana Marianne Brandon, famosa per i suoi best-sellers di sessuologia.
Una chance per aiutare le tante persone che soffrono di qualche forma di disfunzione sessuale o affettiva.
Ma attenzione, perché l' impatto sociale del diffondersi dei sexbot - avverte la studiosa - potrebbe aiutare, sì, più d' uno, ma essere allo stesso tempo devastante. Con il crollo - tanto per cominciare - delle tradizionali unioni tra umani e di conseguenza delle nascite.
Intanto va precisato che quello dei sex robot è un mondo vero e proprio (per saperne di più leggere «Sex Robot.
L' amore al tempo delle macchine» di Maurizio Balistreri, Fandango libri) e che tra un decennio le macchine dall' aspetto e dalle reazioni umanissime saranno un' alternativa alla portata di (quasi) tutti. Un single su quattro già oggi dichiara che farebbe tranquillamente sesso con un androide. Lo dice - tra le altre cose - lo studio «Singles in America», coordinato dagli antropologi Helen Fischer e Justin Garcia del Kinsey Institute con lo scopo di fotografare com' è cambiata la vita sentimentale e la ricerca del partner ideale nel 2018.
«Il futuro è oggi, se non ieri», ci spiega la psicologa e criminologa Georgia Zara, docente alle Università di Torino e Cambridge. «Ma intanto vorrei dare una definizione precisa di che cosa è un sexbot. Deve avere una forma umana, capacità di movimento ed essere artificialmente intelligente, cioè in grado di interpretare e rispondere alle informazioni dell' ambiente circostante.
Ne esistono programmati per recitare Shakespeare e altri per interagire in modo affettivo con un essere umano.
Addirittura possono avere caratteristiche personologiche su misura, proprio quelle del partner ideale».
I sexbot - aggiunge - sono qualcosa di più di un «sex toy» a grandezza umana.
«Gli esperti di Intelligenza Artificiale, infatti, stanno investendo su quello che si definisce "emotional computing", perché riconoscono che le relazioni interpersonali non si limitano al completamento di compiti. Un sexbot deve avere una memoria delle precedenti interazioni ed essere capace di imparare dall' esperienza». Se la questione fosse di natura solo fisiologica, probabilmente il dibattito non sarebbe così controverso.
«Quello che, invece, è particolarmente interessante, proprio a livello psicologico, è il legame che sembra potersi stabilire con un sexbot», aggiunge Zara, che è convinta che si possa arrivare ad amare un robot (del resto ci sono già stati i primi matrimoni misti. Addirittura sono centinaia di migliaia le persone nel mondo che hanno fatto più o meno per scherzo una proposta di nozze ad Alexa, l' assistente digitale di Amazon).
«Sherry Turkle del Mit di Boston e alcuni suoi colleghi hanno esaminato il fenomeno del "cybercompanionship", nel quale si osservavano le persone nell' interazione con sexbot in diversi contesti. Quello che è emerso è l' irresistibile tendenza a proiettare intenzioni ed emozioni umane su questi oggetti. Il 75%, infatti, attribuiva alle macchine una sorta di anima e un' essenza di vita (48%), stati mentali (60%) e anche capacità di rapporti sociali (59%)».
Così reali e contemporaneamente così perfetti in confronto agli incostanti amanti in carne e ossa, i robot, in questo modo, rischierebbero di acutizzare forme di isolamento sociale, inadeguatezza relazionale, deficit nell' intimità e problematiche emozionali e psicologiche. Ma anche di rendere ogni genere di fantasia e perversione così alla portata di tutti da suscitare apatia e noia, alzando l' asticella della trasgressione.
«La disponibilità sul mercato di sexbot come Frigid Farrah (si compra su truecompanion.com, ndr), programmati per dire no, resistere alle avances del partner e consentire di realizzare fantasie, è già realtà.
L'aspetto più sorprendente non è che la tecnologia abbia lavorato per crearli, ma che ci sia richiesta di prodotti del genere. Aprendo così il dibattito sul rischio della normalizzazione di comportamenti devianti». Insomma, si tratta di affrontare le questioni etiche che ogni applicazione di Intelligenza Artificiale evoluta porta con sé e moltiplicarle al cubo: solo così si comincia ad avere un' idea della complessità del problema. Senza dimenticare che i sex robot sono anche sessisti: come la pornografia rappresentano un «bene di consumo» soprattutto maschile, creati da maschi per altri maschi.
Anche l' ipotesi di utilizzare queste creature per trattare i criminali sessuali non è poi così ben definita. «Non abbiamo a disposizione evidenze scientifiche per sostenere che i sexbot fungerebbero da freno per alcune tipologie di violenza sessuale. Per alcuni "sex offenders" l' accesso a questi surrogati erotici potrebbe essere un congegno gratificante e, allo stesso tempo, contenitivo degli impulsi sessuali. Per altri, invece, potrebbe aumentare il senso di frustrazione.
Con il progetto "Sorat-1", "Sex offenders risk assessment and treatment", finanziato dalla Compagnia di San Paolo, abbiamo esplorato la percezione che questi individui, 71 maschi, condannati per violenza sia su minori sia su vittime adulte, avevano dei sexbot.
Si tratta del primo progetto nazionale rivolto alla valutazione del rischio di violenza sessuale - sottolinea Zara, coordinatrice di "Sorat" -. Ma, contrariamente a quanto era stato ipotizzato, i "sex offenders" non erano interessati ad avere un sexbot e manifestavano un livello di interesse molto inferiore rispetto al gruppo di controllo, vale a dire persone normali senza precedenti di molestie».
Insomma, gli amanti sintetici potranno diventare una medicina, ma con un bugiardino lunghissimo di controindicazioni e di effetti collatera
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