DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Giulia Cazzaniga per "la Verità"
Questa è un'intervista che si è svolta in due tempi. A un certo punto il professor Martino Mora ci ha chiesto di prendersi una pausa. Stava raccontando che gira voce di un suo licenziamento, e fosse vera «mi troverebbe in mezzo a una strada». Lo abbiamo richiamato dopo un'ora, e la sua voce aveva deposto l'angoscia: «Non si preoccupi, sono determinato e più combattivo che mai, è stato un momento di stanchezza. Da giorni fatico a dormire, ma non ho intenzione di fare la vittima».
Mora ha 50 anni e fino a qualche giorno fa conduceva un'esistenza quieta tra la sua casa di Milano - vive solo dopo che la madre è morta, un anno fa - e l'insegnamento al liceo scientifico Bottoni, le sue letture, la scrittura di libri - ha pubblicato Abbattere gli idoli contemporanei (Radio Spada) - e appassionati post su Facebook, oggi scandagliati e riassemblati dai suoi accusatori.
«Sono diventato un mostro. L'ultima che ho letto su un sito gay è che sono un indemoniato».
Mora, a lei la ricostruzione dei fatti. Venerdì 25 novembre, giornata contro la violenza sulle donne, è a scuola.
«Dieci minuti dopo l'inizio dell'ora stavo interrogando in classe terza, e un ragazzo arriva in ritardo. Si toglie la giacca, indossa un lungo abito da donna, molto appariscente, a fiori, con le spalline».
Si scoprirà che gli studenti avevano concordato con la preside di far lezione in gonna come simbolo, perché usata come scusante di molestie o stupri.
«Già, peccato che non ne ero stato informato, né gli studenti me lo hanno comunicato, nemmeno quando, seduta stante, dopo aver visto l'abbigliamento del ragazzo, l'ho mandato dalla preside».
Non era il solo vestito così.
«Non me n'ero neanche accorto. Due compagni sono usciti con lui dalla classe e solo allora ho notato che indossavano un gonnellino».
Perché l'ha spedito in presidenza?
«Ritengo che a scuola occorra vestirsi in modo adeguato, è un luogo che merita rispetto. Dire che erano vestiti in modo indecente non è un insulto, ma una constatazione».
Ha qualcosa contro la giornata per la violenza sulle donne?
«Ma figuriamoci, io sono contrario a qualsiasi tipo di violenza, donne, uomini, bambini, animali. Non sono convinto però che per difendere le donne servano pagliacciate in un luogo come la scuola».
I ragazzi quindi vanno dalla preside.
«Che non c'era. Tornano da me, e io ho lasciato quel ragazzo fuori dalla porta. Bene in vista, attendendo la preside. Per solidarietà, altri sono rimasti con lui».
E da lì si è scatenato l'inferno...
«La preside mi fa sapere che occorreva riammetterlo in aula, e così è stato. Alla terza ora dovevo tornare in classe, in presidenza sostengo che almeno il ragazzo in tenuta più appariscente dovrebbe cambiarsi: mi ero accorto che sotto era normalmente vestito, ma ottengo il fermo rifiuto della dirigente. Chiedo allora di esentarmi dalla lezione e che avrei recuperato l'ora perduta in altro momento. Nessuna soluzione è stata presa in considerazione, mi ha detto che se non fossi tornato subito in classe avrei dovuto andar via da scuola. Non era in suo potere, ma non ho discusso l'ordine e me ne sono andato a casa. Poi le tre classi dove insegno hanno deciso di scioperare e di non fare più lezione con me, restando in corridoio per giorni».
Con i suoi studenti il rapporto si è rotto?
«No, anzi. Il dialogo con me ha convinto proprio la classe dove è successo il fatto a riprendere le lezioni. Ho parlato a lungo con i ragazzi in questi giorni».
Si è scusato?
«Non ho ceduto di un millimetro sui principi, ho lasciato parlare tutti per diverse ore. Alla fine abbiamo chiarito le posizioni e recuperato il rispetto reciproco».
Ma la vicenda è andata ben oltre i muri del liceo.
«La preside, in svariate interviste a giornali e tv, ha annunciato di stare preparando un super dossier contro di me, con un pesante provvedimento disciplinare. Questo è quello che so dalla televisione, non mi hanno ancora recapitato nulla. Le voci a scuola parlano anche di licenziamento».
Contro di lei si sono scatenati programmi tv, social network e blog.
«Sono un mostro solo perché ho detto no a una buffonata. C'è chi mi ha scritto che devo guardarmi le spalle quando cammino, ma non mi spavento perché finché sono minacce online con nomi e cognomi non sto neanche a sporgere denuncia. Mi hanno dato del fascista, razzista, sessista, xenofobo, omofobo e, appunto, indemoniato».
Sono tutti insulti alla sua sensibilità?
«Non credo volessero farmi un complimento, ma ritengo che siano parole della neolingua orwelliana che, in fondo, mi fanno sorridere. Sono fobie da lasciare agli psichiatri, più che veri insulti».
È stato ospite a Pomeriggio Cinque, la trasmissione di Barbara d'Urso.
«Ci sono andato a testa alta, hanno provato, senza alcun successo, a linciarmi vivo».
Dai suoi commenti online si è poi capito che ha una posizione particolare sui vaccini, apriti cielo.
«Sono scettico nei confronti dei vaccini e non me ne vergogno, sì. Faccio i tamponi per lavorare, a mie spese».
Facciamo un passo indietro? Da quanto insegna in quell'istituto?
«Insegno Storia e Filosofia al Bottoni dal 2016».
Prima?
«La lunga gavetta del precario della scuola, in giro per i licei della provincia di Milano».
Che rapporto ha con i suoi studenti?
«Buono. Ascoltano, seguono, sanno che possono domandare sempre una spiegazione se non hanno capito».
È severo?
«Se non hanno studiato c'è l'insufficienza. La scuola dovrebbe tornare a essere selettiva, e non avere metodi di giudizio sempre più blandi, di tendenza soprattutto dopo la pandemia. Ma non sono severo, e i miei studenti lo sanno, premio con voti alti chi studia».
Quando spiega siede in cattedra?
«Di solito sì. La mia è la didattica frontale alla vecchia maniera. Non escludo possano esserci strade alternative, ma i ragazzi vanno educati a riconquistare la concentrazione. Devono sforzarsi più oggi di ieri, perché la frenesia dei messaggi visivi che scorrono sui loro cellulari li costringe a una fatica».
Una fatica che lei non vuole togliergli.
«No, perché insegnare non significa dare la pappa pronta. Faccio pause, se necessario, ma riuscire a concentrarsi permette ai ragazzi di crescere, e servirà loro nel mondo del lavoro».
Che idea si è fatto di quello che è successo?
«Ho scelto di non tirarmi indietro, mi sono esposto per difendere un'idea che mi pare di buon senso. Ma ho toccato un tasto che non dovevo, è evidente. Il linciaggio che sto subendo me lo conferma. Sono convinto che al di là delle intenzioni soggettive - le persone coinvolte in questa storia non credo ne abbiano contezza - ci sia un progetto dietro questi attacchi. Uno studente del mio istituto ha detto ai giornali: vogliamo l'insegnamento del transessualismo nelle scuole».
Chi c'è dietro?
«Non lo so, osservo però connessioni tra i "gretini", come li chiamo io, cioè coloro che appartengono al movimento milanese di Fridays for future di Greta Thunberg, e queste ideologie. E dietro quel movimento ci sono poteri forti, non certo solo il faccino della ragazza. È evidente che occorreva distruggermi mediaticamente, e subito, perché ho detto un "no"».
Da insegnante, cosa ha osservato in questi anni?
«Uno dei cavalli di Troia di questo voler portare tendenze culturali nella scuola è l'educazione civica. Salutata con entusiasmo anche dalla Lega, è stato un autogol a favore della parte politica opposta».
Perché?
«Perché con l'educazione civica entrano a scuola le ideologie trasversali, dominanti del pensiero unico, compresa l'Agenda Onu 2030. La vecchia scuola di Gentile e Gramsci era ideologica, sì, ma almeno di alto livello qualitativo. Quel modello era basato su un sapere solido, oggi si vogliono sfornare conformisti».
Più concretamente?
«Nei programmi portati avanti da Onu e Oms, che ricordo proponeva l'educazione sessuale fin dalla più tenera infanzia, ci sono contenuti discutibili: immigrazionismo, una certa visione dell'omosessualità, femminismo estremo. Contenuti che si presentano sempre con aggettivi belli e buoni: si parla di inclusione, lotta alle discriminazioni, accettazione del diverso».
Concetti che nel suo caso non sembrano essere stati rispettati.
«Quel che mi accade dimostra proprio che diritti, paroloni e concetti che vanno verso il transumano - io lo definisco subumano, perché nega le differenze, fin da quelle sessuali - sono solo retorica. C'è dietro una profonda malvagità. È un desiderio autodissolutorio. Rispettare le altre identità non vuol dire distruggere la propria».
Lei è cattolico, dico bene?
«Mi definisco un cattolico della tradizione, non modernista. E vedo che tutte le strutture di senso - Chiesa, scuola, famiglia - sono messe fortemente sotto attacco in modo subdolo, non diretto. Attaccate dall'esterno, ma ancor più dall'interno. Dietro alla lotta contro le discriminazioni c'è una battaglia per l'esclusione, di chi pensa diversamente, dietro al dirittismo una concezione di società atomistica, la disintegrazione delle strutture comunitarie, così da massificare le persone, tutte uguali e tutte consumatrici».
Queste sue convinzioni sono mai entrate in aula?
«No, perché io non insegno per condizionare i ragazzi, al contrario di alcuni colleghi. Non voglio indottrinare nessuno. La mia visione del mondo è nei miei libri o online, ma a meno che non me lo domandino io rifuggo un atteggiamento invasivo sulle loro coscienze».
Ora che farà?
«Aspetto, non ho ancora gli elementi per capire se devo dotarmi di un avvocato».
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