DAGOREPORT - PER RISOLVERE LA FACCENDA ALMASRI ERA SUFFICIENTE METTERE SUBITO IL SEGRETO DI STATO E…
Massimo Numa per “La Stampa”
Spaccare la mela esattamente al centro. Da una parte la madre di due adolescenti. Un giorno di quattro anni fa le ragazzine si presentano dai carabinieri per denunciare che il padre le maltratta in vario modo, soprattutto apostrofandole come «grasse» per indurle a fare sport, e dunque non vogliono più vederlo.
Dall’altra il padre, facoltoso torinese di 53 anni, reduce da un divorzio che ricorda, senza entrare nei dettagli, le cupe atmosfere del film «La guerra dei Roses». Lui racconta tutt’altra storia: «Ho agito solo per tutelarle, esercitando in pieno la mia funzione di genitore».
Ieri il Tribunale di Torino lo ha condannato a 9 mesi di reclusione per maltrattamenti. I suoi avvocati faranno appello e la vicenda giudiziaria è solo al primo round.
«Grasse non farete niente»
Riassunto: la coppia si separa nel 2005. Dopo un lungo contenzioso legale, i coniugi trovano finalmente un accordo per assegni e affidamento delle figlie. Lui: «Andava tutto bene - ha detto, producendo le foto di quel periodo sereno - le mie bambine trascorrevano il tempo con me in piena armonia, le portavo in moto, in montagna, ovunque».
Nel 2008 la prima crisi. Lei: «Mi sono accorta che qualcosa non andava per il verso giusto. Le mie figlie (ora hanno 17 e 20 anni, ndr) avevano messo su qualche chilo di troppo, come accade a tante adolescenti, e il padre rimarcava tutto questo negativamente e con insistenza». Nel 2011 la confessione: «Non vogliamo andare più da papà, ci costringe ad andare in montagna, ha la fissazione delle gare di sci, degli allenamenti, con l’idea che così possiamo dimagrire». La madre aggiunge nell’esposto che le avrebbe indotte a «mangiare di meno e solo alimenti macrobiotici dimagranti». Morale paterna: «Non combinerete niente nella vita, siete grasse!».
«Stile di vita discutibile»
Nel testo dell’esposto è scritto pure che non avevano intenzione di «far processare il padre» ma il pm, individuati profili di reato, ha aperto il fascicolo e chiuso con il rinvio a giudizio. Infine il processo di ieri.
La versione del genitore imputato-condannato è profondamente diversa: «Quando ho scoperto che su Facebook comparivano foto con le mie figlie abituali frequentatrici di locali della movida in ore notturne, ho cercato di intervenire. In una immagine c’era mia figlia, allora tredicenne, che partecipava a un concorso di bellezza per uomini, in un’altra comparivano persone con bevande alcoliche in primo piano... mi sono preoccupato, come avrebbero fatto tutti i genitori responsabili. Credevo che lo sport fosse una valida alternativa a quello stile di vita».
E nelle chat, tracce di conversazioni non proprio confortanti tra le adolescenti e ragazzi parecchio più grandi. «Ho sentito il bisogno di tentare di cambiare le abitudini malsane che avevano intrapreso», ha detto ai giudici.
Il rapporto tra padre e figlie è poi proseguito, tra alti e bassi, sino a quando non è arrivato l’avviso di garanzia. Lo testimoniano foto, mail, sms, testimoni. Dopo, il deserto affettivo. «E questo è un danno gravissimo perché sono stato messo nelle condizioni di non potere avere più contatti, visto che le bambine erano diventate parte lesa in un procedimento in cui io, il loro papà, sono imputato di maltrattamenti».
Gli anni passano. «Ora sono le ragazze a cercarmi, sanno quanto voglio bene loro ma io ho dovuto rinunciare con grandissimo dolore al mio ruolo di genitore, con un pesante riflesso negativo sull’equilibrio della mia famiglia», ha spiegato ai legali dello studio torinese che lo assiste dai tempi della separazione. L’ultima parola ai giudici di appello. Oppure, e sarebbe un lieto fine in puro stile Hollywood, chissà mai che madre, padre e figlie, anche per colpa o per merito del processo, non ritrovino un accordo che renda tutti, se non felici, almeno sereni.
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