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LA SITUAZIONE E’ GRAVE MA NON SIRIA - L'AGA KHAN VUOLE RICOSTRUIRE ALEPPO - PIANO DA 10 MILIONI DI EURO PER LA GRANDE MOSCHEA. SARANNO COINVOLTE DUE UNIVERSITÀ ITALIANE, SI CERCA L’APPOGGIO DEL MINISTRO FRANCESCHINI - "È INIZIATA LA RICOSTRUZIONE DELLA SIRIA"

Francesco Battisti per il Corriere della Sera

 

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Dov' era, com' era. Fra le mani un modellino in plastica bianca del minareto di Aleppo, il dottor Radwan Khawatmi lo rigira con la nostalgia dei giochi d' infanzia: «Io sono nato a pochi metri da lì. Ero bambino e sentivo sempre il muezzin. Andavo a scuola e mi fermavo a bere l' acqua della moschea. Certi pomeriggi caldi, mi riposavo all' ombra di quel muro».

 

 I ricordi di Radwan sono morti il 24 aprile 2013: «Quando hanno distrutto il minareto e quasi tutta la moschea, mi sono sentito distrutto anch' io: ormai vivo in Italia da quasi 50 anni, ma se vado in Siria mi chiamano ancora l' italiano che parla con l' accento d' Aleppo. Quel giorno ho chiamato Sua Altezza e ho detto: dobbiamo fare qualcosa...». Detto e fatto. Sua Altezza Shah Karim al-Husaini, l' Aga Khan IV, discendente del Profeta e capo spirituale di 27 milioni di sciiti ismailiti sparsi nel mondo, inventore della Costa Smeralda e filantropo che ha portato le scuole nelle sperdute valli afgane, sarà lui a ricostruire Aleppo.

 

 A cominciare dalla torre tirata su dopo l' anno Mille, e abbattuta in pochi minuti, per poi passare all' antica moschea degli Omayyadi, al bazar, alla Cittadella. «La precedenza l' avrà il minareto. Perché è simbolico, in una città di 4 milioni d' abitanti. È la cupola di San Pietro per Roma. È il campanile di San Marco a Venezia: da rifare dov' era, com' era».

 

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Se il tuo vicino ti odia, dice un proverbio arabo, sposta la porta della tua casa. Nell' Aleppo delle mille fedi, porta d' Oriente inferiore solo a Istanbul e al Cairo, tappa carovaniera di musulmani e cristiani ed ebrei, «la Parigi del Medio Oriente» dove Agatha Christie scrisse «Assassinio sull' Orient Express», una delle più antiche città del mondo arricchita da ittiti e assiri, babilonesi e persiani, romani e abbasidi, bizantini e mamelucchi, ottomani e francesi, in questi anni di guerra la Grande Moschea patrimonio dell' Unesco s' è trovata a 200 metri dalla prima linea e l' odio fra i vicini ne ha fatto la porta dell' inferno: distrutte le mura perimetrali, crollati i 49 metri del minareto, saccheggiate le macerie, sparita la millenaria cupola di legno del muezzin, polverizzati i mosaici e bruciati gl' intagli.

 

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«In gennaio - dice Khawatmi -, al nostro primo sopralluogo, mi ha pianto il cuore. I progettisti ci hanno detto che solo per il minareto ci vorranno quattro anni di lavoro: noi abbiamo insistito per farlo in due, costi quel che costi». Una decina di milioni. E non sarà come disegnare il modellino di plastica bianca: l' Aga Khan Trust for Culture (Aktc) ha finanziato grandi restauri dal Libano all' India, «ma in questo scenario è tutto più difficile: tre missioni segrete sotto le bombe, nove persone e la paura d' essere sequestrati, abbiamo messo d' accordo governo siriano e opposizioni, autorità religiose e civili. La nostra forza è non schierarci per nessuno».

Si vorrebbe partire a fine anno.

 

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L' Aga Khan ha inviato in Siria il suo direttore generale, Luis Monreal, a garantire che «noi operiamo ovunque per conservare l' eredità culturale e stimolare lo sviluppo economico. Vogliamo solo che la vita torni a pulsare ad Aleppo». Metà delle pietre originali è stata recuperata, poi si ricorrerà alla cava che servì a un restauro di tre secoli fa. Inventario dei danni, rilievi coi droni, fotogrammetrie 3D, disegni in scala e mappature. Gli ebanisti sono stati ingaggiati in India e Pakistan, tre ingegneri (uno italiano) al lavoro con trenta colleghi siriani per organizzare il cantiere. C' è l' ok d' Irene Bokova, direttore generale Unesco, si cerca l' appoggio del ministro Franceschini. Perché a un certo punto si sono fatti avanti gl' inglesi, i francesi, i ceceni e soprattutto gli arabi del Golfo.

 

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«Ma io sono un italiano e un musulmano laico», dice Khawatmi, che anni fa salvò dal crac la Dante Alighieri e oggi è nel consiglio dell' Aga Khan Museum di Toronto, straordinaria collezione d' arte islamica: «Ho convinto Sua Altezza di quanto sia importante l' italianità di questo restauro», saranno coinvolti Politecnico di Milano e Università delle Marche. «Abbiamo presentato i rilievi a un convegno a Vienna - dice il professor Gabriele Fangi -, siamo i migliori al mondo in queste cose. Speriamo di riuscire a partire nei tempi previsti.

 

Le difficoltà maggiori? Trovare la manodopera locale, perché i siriani sono in gran parte a combattere o all' estero». Radwan, il siriano d' Italia, ha moglie di Parma e un tricolore dietro la scrivania, è stato premiato miglior imprenditore straniero nel nostro Paese, crede così tanto nel dialogo da aver cercato di coinvolgere nelle sue iniziative perfino la Lega: «Mi danno sempre del sognatore. Anche stavolta. Invece nei sogni bisogna credere. L' Aga Khan vuole dare il messaggio che è iniziata la ricostruzione d' un Paese. È il nome che abbiamo dato a questo progetto: la speranza della Siria».

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