DAGOREPORT – MARINA E PIER SILVIO NON HANNO FATTO I CONTI CON IL VUOTO DI POTERE IN FAMIGLIA…
Giuseppina Manin per il “Corriere della Sera”
Troppo grassa, troppo vecchia. Nessuna donna vorrebbe mai sentirselo dire. E nessuno mai dovrebbe permetterselo, tanto meno nel mondo colto e elegante della lirica. «Invece succede» denuncia Anna Pirozzi, soprano di origine napoletana di scena nei principali teatri del mondo, stasera protagonista all'Arena di Verona di Nabucco e più avanti di Turandot.
Un successo il suo che arriva dopo un percorso insolito e tormentato. Perché la voce di Anna va da subito forte sul fronte del pop, ma alla lirica arriva tardi. «A 36 anni, età in cui una cantante è già in carriera. Io sono partita da lì, senza un repertorio, un agente, nessuno che volesse ascoltarmi. Ma non ho mollato, sapevo che potevo farcela».
E così è stato. Dopo anni di studio e gavetta nei teatrini di provincia, nel 2012 il debutto è al Regio di Torino, Amelia nel Ballo in maschera . Da lì la sua carriera inizia a decollare. «L'anno dopo ero a Salisburgo con Riccardo Muti. Una sostituzione per Abigaille nel Nabucco. A fine audizione Muti mi disse: "Ma lei è brava. Dov'era prima?". E io: "Maestro, aspettavo che lei mi chiamasse"».
Un lancio internazionale che la porta sulle prime ribalte del mondo. «Da New York a Buenos Aires, da Berlino a Parigi. Anche in Italia sì, ma di più all'estero». Alla Scala canta due volte. «Nel 2016 in I due Foscari. Esordio burrascoso, dal loggione arrivarono i buu. L'anno dopo tornai con Nabucco e furono applausi, anche a scena aperta».
Bisogna avere i nervi saldi per questo mestiere. «E anche spalle larghe. Mi ha insegnato molto il rugby, ho giocato finché non mi sono rotta il naso». Ma la sua prima scuola è stata Sanremo. «Seguivo i Festival, trascrivevo i testi delle canzoni e poi le cantavo nelle balere, ai matrimoni… La prima maestra Mina, dalla sua voce si impara tutto. Ma anche Pausini, Carmen Consoli, Giorgia. Poi mi è capitato di ascoltare Maria Callas in Casta diva. Una folgorazione. Il mondo dell'opera si è spalancato davanti a me. A 25 anni ho iniziato a studiare, mi sono iscritta al Conservatorio, ho preso lezioni private».
La voce c'era, duttile e potente, la tecnica si impara. «Cantare era la mia gioia, ma non bastava in una famiglia dove la mamma era postina, il papà autista. Ho trovato lavoro come assistente domiciliare, andavo a curare gli anziani, a fare le pulizie. Mentre lavavo i pavimenti cantavo le arie d'opera, e i miei vecchietti mi applaudivano».
Del resto anche un'altra Anna, la russa Netrebko, aveva cominciato pulendo i marmi del Marinskij. In dieci anni Pirozzi arriva dove di solito le altre ne impiegano trenta. Nel frattempo si sposa e fa due figli.
«Oltre il sipario c'è la vita. Mio marito, violinista, ha rinunciato alla sua carriera per me. E lui porta avanti l'organizzazione familiare, non lo ringrazierò mai abbastanza». Anna ce l'ha fatta. Un cruccio però le resta. Avere una voce magnifica, una presenza attoriale sicura a volte non bastano.
Lei è una donna solare, mediterranea. «Ma quelle forme generose tipiche di tante soprano, dalla Tebaldi alla Caballé, oggi sono un tabù. Il body shaming nell'opera si fa sempre più pesante, ma solo per le donne. Capita di venir scartata perché non hai il fisico sottile richiesto da certe produzioni "d'avanguardia". Io ho lavorato con i grandi, da Pizzi a de Hana, nessuno si è mai sognato di criticare il mio aspetto. Durante il lockdown ho perso 16 chili, ma non basta ancora. A questo punto ho deciso di non subire più. Sono quel che sono, gli spaghetti migliorano l'umore, e io non mi tiro indietro».
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