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Giuseppe Guastella per corriere.it
La vita di Riccardo Avesani cambiò durante una partita di calcio. In peggio. Era il 29 novembre del 2009, mentre l’Inter incontrava la Fiorentina uno spettatore gli piombò addosso cadendo dagli spalti di San Siro e fratturandogli la schiena. Per le ferite Avesani ha dovuto cambiare lavoro e ora fa causa all’Inter chiedendo oltre 382mila euro per i danni subiti. «Dopo tanti anni la situazione non è cambiata, il pericolo c’è ancora nello stadio», dichiara il suo legale, l’avvocato Riccardo Piga.
Quando l’Inter giocava in casa, Avesani portava a San Sitro il figlioletto di 9 anni. Erano abbonati. Come illustra nel ricorso al tribunale civile l’avvocato Piga, quel giorno, in occasione della 14/a giornata di andata di serie A, si erano sistemati in un settore tranquillo e frequentato dalle famiglie nel primo anello. L’Inter conduceva 1-0 quando al 40° Eto’, protagonista di un’azione impetuosa, si presentò di fronte alla porta viola sprecando la palla del raddoppio. In preda ad un entusiasmo incontenibile, Massimiliano Olivi, che aveva 36 anni, si arrampicò sul parapetto del secondo anello, ma perse l’equilibrio e da 12 metri di altezza precipitò su Avesani. Entrambi restarono feriti in modo grave.
Il processo penale per lesioni colpose si chiuse nel 2015 con la condanna di Olivi a 900 euro di multa e a una provvisionale di 50 mila euro a favore di Avesani, che il primo non ha mai pagato perché non è in condizioni di farlo (la causa civile riguarda anche lui). Venne archiviata invece la posizione del responsabile della sicurezza dell’Inter perché, scrisse allora il gip Carlo Ottone De Marchi, Olivi aveva violato «qualsiasi regola di prudenza e diligenza» e perché il parapetto, costituito da cinque sbarre di ferro orizzontali, l’ultima inclinata verso l’interno, sostenute da paline verticali, era conforme alle norme in vigore quando era stato costruito.
«Norme del 1955», sottolinea l’avvocato Piga, secondo il quale, al di là del rispetto formale delle leggi di 53 anni fa che ha garantito l’archiviazione, l’Inter aveva comunque il dovere di assicurare l’incolumità degli spettatori prendendo ogni precauzione necessaria per impedire che la protezione fosse scavalcata facilmente, adeguandola alle normative di sicurezza successive del 1992 e del 2006.
«È un manufatto che ogni settimana deve asservire alla sicurezza di decine di migliaia di persone», sottolinea il legale riportando anche le parole del giudice che, condannando Olivi, aveva scritto che «una diversa conformazione della balaustra avrebbe con ogni probabilità evitato il verificarsi dell’evento». Invece, per come il parapetto è fatto, «lungi dal dissuadere il tentativo di scalata, lo agevola o, addirittura, lo invoglia», si legge nel ricorso in cui si sostiene che, ad esempio, sarebbe bastato mettere dei cristalli sulla balaustra per impedire che le barre orizzontali fossero usate come i gradini di una scala. Eppure nel 2002, sette anni prima, si era verificato un incidente del tutto analogo.
A parlare di «oggettiva pericolosità dell’impianto che andrebbe tempestivamente corretta» era stata la stessa Procura della Repubblica che, dopo aver ottenuto l’archiviazione per il responsabile della sicurezza, trasmise gli atti al comune di Milano, proprietario dello stadio, e al Coni. La frattura che quel giorno riportò ad un disco vertebrale non consente più ad Avesani di viaggiare come faceva prima dell’incidente, quando era un dirigente aziendale che a 46 anni si occupava di commercio estero e girava il mondo. Dopo anni di cure e di riabilitazione, ora fa l’insegnante di matematica e fisica in una scuola superiore con uno stipendio che è meno di un quarto di quello di prima.
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