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Lorenzo D'Albergo per "La Repubblica"
à sera , l'ora delle visite al policlinico Gemelli di Roma. Il primario di rianimazione si avvicina a Ciro. Dal colletto della camicia spunta la cravatta a righe rosse e blu. Gli occhi e le mani del 29enne di Scampia ricoverato dal giorno della finale di Coppa Italia corrono verso quel vessillo dai colori sconosciuti: «Dottore... ma la maglia del Napoli? ».
«Tranquillo Ciro - lo rassicura il professor Massimo Antonelli - è dietro di te, insieme alla sciarpetta». Le labbra del giovane tifoso si chiudono per poi tornare a muoversi. «Mia mamma dov'è?», chiede senza voce. «Non ti ho sentito - ribatte il dottore - facci sentire meglio ».
«Mia mamma?», si sforza Ciro. «à qui - gli sorride il camice bianco - non la riconosci?». Il paziente guarda la madre e scuote la testa: «No». Poi, un cambio d'umore repentino: «Il calcio? Ma che me ne frega a me âe chillo sport âe mmerda», dice con un
forte accento napoletano.
Per Ciro Esposito, colpito da un proiettile al torace nella sparatoria che dieci giorni fa ha sconvolto il mondo del calcio, la strada verso la guarigione è ancora lunga, un percorso a ostacoli. Non è più intubato, ma respira solo grazie alla mascherina verde che pende dietro al suo letto nella stanza numero 8 di terapia intensiva, sotto la foto di Papa Giovanni II.
à in dialisi e i polmoni, forati dal colpo che sarebbe stato esploso dalla pistola dell'ex ultrà romanista Daniele De Santis, vengono costantemente drenati. E, soprattutto, è sempre sotto l'effetto stordente dei sedativi, che gli causano amnesie e sbalzi d'umore.
«Papà , ma tu dove mi hai trovato? Cosa mi è successo? Non mi arrestano, vero? Guarda come mi hanno ridotto», riprende Ciro in un momento di lucidità , guardandosi i bicipiti scolpiti da sei mesi di palestra che in ospedale si stanno velocemente sgonfiando.
La schiena è chiazzata di lividi, una fila di ematomi che parte dal collo e scende lungo il fianco destro. Ricordi di una serata che la famiglia Esposito vorrebbe dimenticare al più presto. Prima tra tutti, mamma Antonella, seduta accanto al suo Ciro con gli occhi gonfi di lacrime. Il figlio non l'ha riconosciuta, durante la visita mattutina le aveva mandato baci.
Decine di baci a lei e alla fidanzata Simona, alla quale il tifoso in terapia intensiva aveva stretto la mano per un'intera ora. Per i medici tutto normale, compresa la possibilità che i disturbi del 29enne di Scampia si trascinino a lungo.
Ci vorrà tempo prima che smetta di avere allucinazioni, di vedere mostri e sconosciuti invece di mamma e papà , Antonella e Giovanni, che attendono notizie positive sulla ripresa del loro ragazzo. Dovranno attendere le fine delle terapie. Solo a quel punto i medici si sbilanceranno sulla completa ripresa della mobilità , se mai arriverà .
Ciro per ora non riesce a sentire niente sotto la vita. E continua a chiedere ai genitori cosa ne sarà di lui. Poi, un nuovo cambio di umore e un Ciro mai visto e ascoltato prima da amici e parenti: imprecazioni in dialetto e occhiate cariche di ansia a chiunque si avvicini troppo al suo letto. «Di questo calcio non mi frega più niente».
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