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“ROB REINER HA PORTATO SULLO SCHERMO UN RAGAZZO PIANGENTE. E QUEL RAGAZZO ERO IO” – IL GRANDE SCRITTORE STEPHEN KING RICORDA IL REGISTA, UCCISO INSIEME ALLA MOGLIE PROBABILMENTE DAL FIGLIO, E LA LORO COLLABORAZIONE: “IL SUO FILM ‘STAND BY ME’ È TRATTO DALLA PIÙ AUTOBIOGRAFICA DELLE MIE OPERE. NELLE MANI DI ROB, TUTTO RISULTAVA AUTENTICO. LE PARTI COMICHE ERANO ESILARANTI, E QUELLE DRAMMATICHE MI TOCCAVANO NEL VIVO. FINITO IL FILM, RINGRAZIAI ROB E CON ENORME SORPRESA MI RITROVAI AD ABBRACCIARLO. NON SONO FACILE AGLI ABBRACCI, E CREDO NEMMENO LUI FOSSE ABITUATO A RICEVERNE…” – VIDEO

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Articolo di Stephen King per “The New York Times” – ripubblicato da “la Repubblica”

 

Stephen King e Rob Reiner

Stavolta preferisco affidarmi alle sensazioni più che alla memoria. L’unica cosa di cui sono certo è quello che ho provato venendo a sapere della morte di Rob Reiner: un misto di tristezza e incredulità. Quanto al resto… diceva bene Robert Stone: «La mente è una scimmia».

 

Credo di aver visto Stand by me – Ricordo di un’estate nell’autunno del 1985. All’epoca il film si intitolava ancora The Body, come il mio racconto lungo (uscito in Italia come Il corpo nella raccolta Stagioni diverse, ndt) da cui era tratto. Se non ricordo male eravamo in una stanza del Beverly Hills Hotel, e in lontananza si sentiva il ritmo sordo di una band rock puri anni Ottanta. Il film mi aprì la porta su un’altra epoca, più innocente: il 1959.

 

Stephen King e Rob Reiner

Posso dire con relativa certezza che Rob indossava una camicia a quadri a maniche corte e pantaloni color cachi, come se fosse appena uscito dal campo da golf (e forse era proprio così). L’unica cosa di cui sono assolutamente sicuro è che si trattenne finché il film non iniziò, poi andò via.

 

In seguito mi disse che non avrebbe sopportato di assistere alla mia reazione se il film non mi fosse piaciuto. Io ero l’unico spettatore, seduto su una sedia dallo schienale alto prelevata da una delle sale riunioni dell’hotel.

 

Corey Feldman - Jerry OConnell - Wil Wheaton - River Phoenix in una scena di Stand by me

Rimasi sorpreso dall’effetto che mi fecero quei suoi 89 minuti. Ho scritto molte opere narrative, ma Il corpo resta l’unico racconto apertamente autobiografico della mia carriera di autore. Quei ragazzi erano i miei amici. Non abbiamo mai seguito i binari di una ferrovia in cerca di un cadavere, ma ci cacciavamo in altri guai. La storia parlava della mia realtà, così come l’avevo vissuta sulle strade sterrate del sud del Maine.

 

Il cane della discarica esisteva davvero, anche se non si chiamava Chopper. C’era davvero anche un ragazzo che era andato a fare il bagno ed era uscito dall’acqua coperto di sanguisughe in punti impensabili del corpo, ma non era Gordie Lachance: ero io.

 

Stephen King con Rob Reiner nel 1988

Ed esisteva davvero anche un ragazzo accusato di aver rubato i soldi per il latte a scuola, anche se non si chiamava Chris Chambers. In realtà aveva preso in prestito – non diciamo rubato – la Bel Air di sua madre. Con me seduto accanto si era lanciato a centocinquanta all’ora sulla Route 9, la strada del nostro paese di campagna. Avevamo undici anni.

 

Quello che voglio dire è che, nelle mani di Rob, tutto questo risultava autentico. Le parti comiche erano davvero esilaranti (compresa la celebre scena dell’epidemia di vomito), e quelle drammatiche mi toccavano nel vivo della mia vita di allora – negli anni in cui era presidente John F. Kennedy e la benzina costava venticinque centesimi al gallone.

 

will wheaton, rob reiner e jerry o'connell sul set di stand by me

Mi ero sentito esattamente così, diviso tra la vita di scrittore e le vite dei miei amici, che vivevano alla giornata e non erano diretti da nessuna parte di preciso – se non, forse, in Vietnam. Io scelsi la scrittura, ma per un soffio.

 

Finito il film, ringraziai Rob e con enorme sorpresa mi ritrovai ad abbracciarlo. Non sono facile agli abbracci, e credo nemmeno lui fosse abituato a riceverne. Si irrigidì, mormorò qualcosa sul fatto che era contento che mi fosse piaciuto, e ci staccammo.

 

A quanto pare non avevo ancora esaurito le emozioni. Andai nel bagno degli uomini più vicino e mi sedetti in uno dei water finché non riuscii a riprendermi. La nostalgia può essere pericolosa a distanza ravvicinata. Non so bene in che senso, ma mi sembra vero.

 

Stephen King e Rob Reiner

Quando tornai, io e Rob passammo a una conversazione più normale. Mi chiese se avessi delle osservazioni; non ne avevo. Mi ero semplicemente lasciato scorrere tutto addosso. Mi sorprendeva fino a che punto la verità potesse trasformarsi in una grande storia, nelle mani giuste.

 

Anni dopo, Rob organizzò per me una proiezione del film Misery non deve morire, anch’esso tratto da una mia storia. Ne fui altrettanto entusiasta ma non ne uscii così devastato sul piano emotivo. Quello che mi piacque – quello che Rob ebbe l’audacia di cogliere – fu la miscela di umorismo e suspense.

 

Kathy Bates e James Caan in una sequenza di Misery non deve morire

Quando Annie Wilkes, magistralmente interpretata da Kathy Bates, sbaglia a pronunciare Dom Perignon, la scena è insieme comica e toccante: nessuno le aveva mai insegnato come si dice e Rob aveva colto quel dettaglio alla perfezione.

 

Molto tempo dopo, quando Rob era ormai un autore affermato e io quello che sono, qualunque cosa io sia, ci incontrammo a New York. Su sua richiesta partecipai a un documentario politico sulle comuni scarse simpatie nutrite per Donald Trump. Rob affrontò con la consueta eleganza una valanga di attacchi e insulti su Twitter (mi rifiuto di chiamarlo X: è da film porno).

 

Lui è stato una presenza politica, una voce attenta alla realtà sociale e un osservatore ironico e implacabile. Ma tutto questo ai miei occhi passa ancora in secondo piano quando guardo Chris Chambers dire a un Gordie Lachance piangente: «Un giorno sarai un grande scrittore». Quel ragazzo in lacrime ero io. Ed è stato Rob Reiner a portarlo sullo schermo.

Traduzione di Emilia Benghi

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