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Alberto Mattioli per "la Stampa"
Dopo il Guglielmo Tell di Rossini, sarà la seconda opera della storia su un uomo e la sua mela. L'Opera di Santa Fe annuncia per il luglio 2017 la «prima» mondiale di The (R)evolution of Steve Jobs , libretto di Mark Campbell, musica di Mason Bates. Dirigerà Michael Christie, regia di Kevin Newbury, annunciata «tanto innovatrice» quanto il suo protagonista.
La scelta di Santa Fe può sembrare strana solo a chi non conosce il suo festival estivo, uno dei più prestigiosi degli States, e la bellezza delirante del teatro, un' arena coperta ma aperta sui panorami mozzafiato del Nuovo Messico. Idem per la novità operistica: dall' altra parte dell' Atlantico si rappresentano molti più titoli nuovi (e di solito con molto maggior successo) che dalla nostra.
Per scrivere un' opera sul genio della Apple, la scelta di Bates appare quasi obbligata. Il trentottenne virginiano non è solo il secondo compositore vivente più eseguito negli Usa dopo John Adams, ma è anche uno specialista di musica elettronica (in effetti, fa anche il dj e scrive brani dance: nessuno è perfetto).
Nel suo catalogo, anche una sinfonia per orchestra ed «electronics», Alternative Energy , che fu tenuta a battesimo nel 2012 da Riccardo Muti con la Chicago Symphony. «Come musicista, lavoro sulla connessione fra creatività e tecnologia», dice Bates. Tutto sommato, il matrimonio che ha fatto grande anche Jobs.
Debutto in teatro
Finora Bates, che attualmente è «composer-in-residence» al Kennedy Center di Washington, non aveva mai scritto per il teatro. Il libretto di Campbell (che invece di opere ne ha già scritte quindici, vincendo anche un Pulitzer nel '12 per Silent Night di Kevin Puts) inizia quando, trovandosi faccia a faccia con la morte per il cancro al pancreas, Jobs rievoca i momenti e le persone che lo ispirarono, da suo padre adottivo Paul alla moglie Laurene, dall' amico Steve Wozniak al suo consigliere spirituale buddista.
Il ritratto che ne dovrebbe uscire, annuncia l' Opera di Santa Fe, è quello di «un innovatore che semplificò la comunicazione con dispositivi lucenti, ma che paradossalmente aveva compreso che le complesse relazioni umane richiedono più di un pulsante per funzionare».
Un' icona dello spettacolo
Fin qui la notizia. L' aspetto interessante è che anche il teatro musicale celebra Jobs, ormai star postuma dello spettacolo americano, dunque globale, dopo esserne stato un protagonista con la sua Pixar.
Il personaggio ha tutto per funzionare, anche in scena: il genio visionario e la spiritualità buddista, il successo planetario e la morte nel 2011, a soli 56 anni. Una vita da fiction: l' ex hippie californiano che diventa il self-made-man di maggior successo degli ultimi decenni, rivoluziona il mondo e si congeda con un discorso, «Siate affamati, siate folli, perché solo coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo lo cambiano davvero» che entra a pieno titolo nell' antologia delle grandi arringhe della civiltà americana.
Steve Jobs e la sua ultima moglie
Il cinema, più sveglio o più cinico del teatro, se n' era già accorto. A oggi, i film su Jobs sono almeno sei e uno anche con lui, The Pixar Story , un documentario del 2006 in cui Steve interpreta se stesso. Ci sono anche altri due documentari: Steve Jobs. L' intervista perduta (2010), e Steve Jobs: the Man in the Machine , uscito quest' anno.
Poi c' è un film tivù, I pirati della Silicon Valley , cinque nomination agli Emmy nel 1999 (Jobs era Noah Wyle) e due grandi biopic hollywoodiani. Il primo, Jobs di Joshua Michael Stern con Ashton Kutchner, uscì nel '13 e, tutto sommato, non piacque quasi a nessuno (men che meno a Wozniak, che lo stroncò su Internet). Un mezzo fiasco, anche perché l' ex signor Demi Moore era un Jobs altamente improbabile e non solo dal punto di vista fisico.
Nemmeno Michael Fassbender, prossimamente su questi schermi nel biopic fantasiosamente intitolato Steve Jobs (uscita in America a ottobre, in Italia a gennaio 2016) sembra assomigliargli molto. Però il carisma è un altro e la regia di Danny Boyle e soprattutto la sceneggiatura di Aaron Sorkin promettono bene, o almeno meglio: un buon job su Jobs.
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