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Claudio Campanella per “la Repubblica”
Claudio Campanella con la moglie laura
È domenica mattina. Dai corridoi dell'hotel arriva lo scalpiccio dei piccoli atleti del torneo di minirugby "Città di Perugia". Io dormo ancora, mia moglie Laura accanto a me scorre il cellulare. Mi sveglia una gomitata, apro gli occhi e sento un brivido lungo la schiena: ai piedi del letto tre ragazzoni sui 90-100 chili, così li descriverà poi Laura, in divisa da poliziotti, le mani sulle fondine.
Pronuncio un flebile buongiorno e per tutta risposta uno degli agenti mi serve il programma: «Abbiamo un mandato di cattura internazionale per Claudio Campanella, nato a Genova e residente a Roma: è lei? Dovrebbe seguirci in questura per accertamenti».
Ok, mi dico, non ho nulla da nascondere. Intanto mi vengono in mente, nell'ordine: Presunto innocente, Le ali della libertà, Il fuggitivo. Ma non è un film. Davvero infilo i pantaloni sotto l'occhio vigile dei poliziotti. Davvero per andare in bagno devo aspettare che uno di loro controlli le vie di fuga. Davvero Laura apre gli scuri e fa un balzo indietro trovando il quarto poliziotto appostato fuori. Gli agenti provano a rassicurarla sul fatto che possa trattarsi di un errore.
La descrizione del ricercato parla chiaro: niente capelli, niente barba e sui 90-100 chili. I miei capelli scuri, la barba sale e pepe e la corporatura da lanciatore di coriandoli lasciano pochi dubbi. «Solo un po' e suo marito potrà raggiungerla sul campo da rugby - dice uno di loro - Tra l'altro ho fretta anch' io perché pure mio figlio partecipa al torneo».
Detto fatto. Senza mai rimanere a più di dieci centimetri da me gli agenti mi accompagnano fuori dove mi aspetta una volante tutta per me. Mi fanno accomodare dietro al divisore, ma almeno vengo invitato a salire e non spinto: per tutta la mia disavventura sono gentili e comprensivi, considerando che anche per loro è domenica e anche per loro sarà una mancata cattura, visto l'identikit.
Siamo in questura, si accomodano, mi accomodo. Aspettiamo la responsabile dei dati biometrici, e tutte le mie fantasie sulle procedure di polizia crollano. Scordatevi l'inchiostro e il fondale a righe.
L'addetta in guanti di lattice mi prende le impronte con lo scanner, poi mi siedo in un dispositivo a specchi che con un solo scatto rilascia svariate angolazioni del mio viso. «Può andare». Finalmente posso iniziare a fare domande: quanto ci vuole, perché, chi, come, quando?
L'attesa, scoprirò, sarà lunga e perderò le partite del figlio numero due, ma almeno riesco a sentire il tifo, perché la questura è a cento metri dallo stadio. È un ufficio di Roma, il Sirene, inserito nel Sis (Sistema informazioni Schengen) che deve recepire i miei dati biometrici per confrontarli con quelli in suo possesso e riconoscermi "estraneo ai fatti". Ma rifletto che è domenica anche a Roma.
Mi metto l'anima in pace e chiedo agli agenti perché cerchino Claudio Campanella.
Mi spiegano che gira l'Europa seminando truffe da centinaia di milioni con decine di identità false, tra cui la mia. Ecco perché la notte prima, quando hanno ricevuto dagli hotel le liste degli ospiti, hanno pensato al colpaccio: «Lo prendiamo noi». L'illuminazione arriva quando mi dicono che hanno riesumato una mia vecchia denuncia per furto d'identità.
I miei guai sono iniziati anni fa con l'acquisto di uno smartphone: periodicamente mi arrivavano ingiunzioni di pagamento e minacce di adire le vie legali da parte di svariati fornitori di beni e servizi (acqua, gas, telefoni) che avevano contratti a mio nome mai pagati. Mentre io cercavo di far capire che erano stati truffati da un impostore.
Sono iniziate così le denunce. E sono venute fuori alcune chicche, se così si può dire: tonnellate di pomodori che avrei comprato in Bulgaria e mai pagato. Da un paio d'anni tutto taceva, ma ecco la sorpresa. Verso mezzogiorno arriva la risposta del Sirene: «Non è il Claudio che cerchiamo». La tensione si scioglie, arrivano le scuse, per fortuna è finita. Per loro sì, ma per me? Nella risposta degli agenti avverto un leggero imbarazzo: oggi abbiamo chiarito tutto, dicono, ma non possiamo garantire che la cosa non si ripeta finché il vero ricercato non verrà catturato.
Ovvero: ogni volta che andrò in albergo, in aeroporto, o banalmente mi fermeranno a un posto di blocco. Ed ecco il lampo di genio, dritto da Lino Banfi in Fracchia la belva umana: «Non potete rilasciarmi un lasciapassare?». La risposta è no. Ma forse una fotocopia di questo articolo potrà essere utile accanto al passaporto.
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