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“TUTTI DIVENTEREMO DISABILI PRIMA O POI. ETÀ E TEMPO SONO CRUDELI. BISOGNA ACCETTARE LA VULNERABILITÀ” – LA STORIA DI DAVID HOLMES, EX CONTROFIGURA DEI DANIEL RADCLIFFE RIMASTO TETRAPLEGICO A CAUSA DI UN INCIDENTE SUL SET DI “HARRY POTTER E I DONI DELLA MORTE: PARTE 1”: “HO DOVUTO RICOMINCIARE DA ZERO. MI ILLUDEVO CHE SAREI TORNATO A LAVORARE. IL PROCESSO DI ACCETTAZIONE È STATO LENTO, INFINITO. POI HO CAPITO CHE IL MIO NUOVO LAVORO ERA RICOSTRUIRE LA MIA VITA” – “NON SOPPORTO QUANDO LE AZIENDE, I POLITICI O LE ALTRE PERSONE DIPINGONO NOI DISABILI COME VITTIME. IO…”
Estratto dell’articolo di Giulio D'antona per “la Stampa”
La vita dello stuntman britannico David Holmes è cambiata a 25 anni, nel 2009. Poi ancora pochi anni più tardi, quando, dopo un lungo processo medico, ha imparato a adattarsi alla sua nuova condizione di tetraplegico cui lo ha costretto un incidente durante la prova di una scena sul set di Harry Potter e i doni della morte, parte prima.
Holmes era la controfigura di Daniel Radclliffe, che nel film ha interpretato proprio il giovane mago e che oggi considera uno tra i suoi migliori amici. Nel suo memoir Il ragazzo che è sopravvissuto (Salani), che non a caso cita proprio uno degli appellativi con i quali Potter è definito tanto nei libri quanto nei film, Holmes racconta della sua vita di prima e di quella di adesso. […]
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Dopo l'incidente, come ha fatto a separare la persona dallo stuntman?
«Ho dovuto ricominciare da zero. Le mie capacità fisiche giocavano un ruolo fondamentale nella mia definizione identitaria e mi sono state tolte improvvisamente. Mi sono ritrovato nudo, o peggio: esposto fino all'osso. Ho fatto del mio meglio per mascherare questa vulnerabilità, ma presto ho capito che anche quella era una bugia.
Stavo recitando. Con i miei amici e con la mia famiglia quando dicevo loro che stavo bene; con il personale sanitario e con gli altri pazienti per tenere alto il morale; e con me stesso, per aiutarmi in un momento in cui il mio organismo era in piena modalità sopravvivenza. La verità è che stavo lottando per la vita».
[…] Pensava che sarebbe tornato a lavorare?
«Volevo tornarci subito. Mi illudevo. Il processo di accettazione è stato lento, infinito. Poi ho capito che il mio nuovo lavoro era ricostruire la mia vita, fisicamente ed emotivamente. Non è stato facile. Oggi mi rendo conto che le storie che prima mi raccontavo col corpo, ora le racconto con la mia prospettiva sulla vita. Condividere le mie vulnerabilità mi ha aiutato a imboccare il processo che mi aiuterà a ritrovare completamente quella sensazione di identità che avevo perso».
[…] «Sto cercando di stabilire un record mondiale di apnea sott'acqua per una persona tetraplegica. Non è mai stato fissato e vorrei essere io a farlo. Mi dà un senso di realizzazione. Fa male, è dura, ma è un esercizio fisico e mentale: aiuta a eliminare il rumore della vita. Il dolore è inevitabile. La sofferenza è una scelta. Io scelgo di imparare».
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L'umorismo la aiuta ancora?
«Ogni giorno. È il mio modo di reagire a tutto ciò che di difficile o scomodo mi presenta la vita, e ultimamente la scomodità è una componente fondamentale. L'umorismo spezza la tensione. Ridere insieme è nella natura degli esseri umani. All'inizio per me si è trattato di una strategia di sopravvivenza. Meglio fare ridere che fare piangere: nel mondo ci sono già abbastanza motivi per piangere senza guardare me».
Si sente oggetto di pietà?
«Essere vulnerabile significa che il novantanove percento delle interazioni con gli sconosciuti è stracolmo di empatia. Io la accolgo. Altri nella mia condizione la rifiutano, la combattono perché la ritengono una specie di affronto alla propria normalità. Per me è un dono».
Che non è pietà…
«Se c'è una cosa che non sopporto è quando le aziende, i politici o le altre persone dipingono noi disabili come vittime. Io vivo una vita piena, meravigliosa, ricca di esperienze profonde. Il me stesso venticinquenne in ospedale, convinto che fosse finita, sarebbe contento di parlare con me oggi, perché saprebbe che non è finita, è solo cambiata.
L'unica cosa della quale i disabili possono considerarsi vittime è l'abilismo. Tutti diventeremo disabili prima o poi. Età anagrafica e tempo sono crudeli. Quando sarà il loro turno, saranno grati che io abbia lottato perché la società ci accetti tutti così come siamo».
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Ha perso passione per il suo lavoro?
«Assolutamente no, anzi è aumentata. Fare consulenza mi ha permesso di allargare le mie competenze ad ambiti nei quali non ero ferrato. Il mio migliore amico sta coordinando gli stunt del nuovo Highlander con Henry Cavill e discutiamo insieme le sequenze che vuole proporre al regista. Ora riconosco quando un'inquadratura è davvero arte, quando ha richiesto una coreografia e un coordinamento. È bello riconoscere e vedere riconosciuto il tipo di lavoro che occorre a sostegno di un film quanto una buona regia o un'ottima recitazione». […]
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