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Filippo Fiorini per “La Stampa”
La regola della scheda per Florin è durata sette anni. La scheda è quella che Mondo Convenienza mette in mano ogni mattina a chi svolge contemporaneamente le mansioni di facchino, autista e montatore. Sei giorni su sette. Da ottobre a marzo anche sette giorni su sette.
La scheda indica gli orari necessari ad assemblare un mobile acquistato in un negozio fisico o su Internet e consegnato a casa del cliente. In base alla scheda, si stabilisce la quantità di prodotti che devono essere caricati sui furgoni di quelli come Florin.
La somma degli orari indicati sulla scheda non supera mai le otto ore. La scheda, però, non spiega come montare un mobile. Per quello, c'è il libretto di istruzioni che il produttore originale ha inserito nella scatola. Anche lì sono segnati i tempi di montaggio e sono sempre più alti di quelli della scheda.
Al termine di una giornata di 14 ore, la scheda suona un po' come una presa in giro. «La nostra forza è il prezzo», c'è scritto nella prima pagina del catalogo 2022. Molti consumatori si domandano nei forum online perché i mobili di Mondo Convenienza siano così economici.
Gli esperti rispondono che, avendo potuto contare su «più di 3500 dipendenti, 44 punti vendita e 41 hub logistici», il segreto di Mondo Convenienza sono le sue dimensioni. Per questo può fare prezzi così bassi.
Florin, però, non la pensa così. È convinto che il suo stipendio sotto il minimo sindacale, l'assenza degli straordinari in busta paga e una politica con le maestranze che definisce «pesantissima», aiuti ad abbassare i prezzi.
E la procura di Bologna, dopo aver ricevuto una ventina di querele come quella di Florin, ha voluto vederci più chiaro.
Florin, è soddisfatto dell'indagine?
«Sì, anche se non lavoro più lì, è una cosa che mi ha riguardato per molto tempo».
Perché non vuole che in questa intervista compaia il suo cognome?
«Se ci sarà un processo, il mio sindacato, la Filt-Cgil, vuole costituirsi parte civile, il nome basta. Mi chiamo Florin, sono rumeno come il 99% dei miei colleghi, ho una moglie e due figli».
Lei ha lavorato per sette anni a Mondo Convenienza a Bologna. Prima di sporgere denuncia, ha provato a rivolgersi ai superiori?
«Io non ero dipendente di Mondo Convenienza, ma di una cooperativa creata da Mondo Convenienza per fare le consegne. Certo che lo abbiamo detto e abbiamo finito per litigare. A quel punto tutto è andato peggio, finché mi hanno lasciato a casa».
L'hanno licenziata?
«Il sistema è questo: se sorgono dei problemi con un gruppo di lavoratori legato a una coop, se ne crea un'altra. Questa nuova coop vince l'appalto per le consegne a scapito della prima. Il gruppo viene disgregato. Uno, due alla volta vengono lasciati tutti a casa».
Con che motivazione?
«Ti arrivano tre lettere di richiamo. Sono una messa in scena, ma c'è la giusta causa per licenziare».
Com'era la sua giornata?
«Una settimana si cominciava alle sei, quella dopo alle sette, e poi da capo. Arrivi alla tua postazione di carico e trovi le scatole con le consegne. Carichi il furgone e parti».
Le capitava di dover lavorare oltre l'orario?
«Ogni giorno. Loro ti davano un tempo che dicevano fosse giusto, ma non era mai giusto. I problemi che trovavi a casa del cliente non li sapevi mai e non potevi andare via senza aver finito. Alla fine non tornavo mai a casa prima delle otto di sera».
Facevate una pausa a mezzogiorno?
«Impossibile, non avremmo finito in tempo. Ci sono dei condomini che hanno l'orario del silenzio dalle 13 alle 15. In quelle due ore non puoi fare rumore montando un mobile, ma non puoi neanche stare fermo, altrimenti non finisci. Allora cerchi qualcos'altro da fare. Un'altra consegna, poi torni».
Avevate attrezzi adeguati a trasportare i mobili?
«Non avevamo nessun attrezzo. Dovevi fare tutto da solo. Ci sono divani che pesano 130 kg, quelli li portavamo in due. Ma è una cosa che ti ammazza. Un collega ha vinto una causa proprio per questo: si è fatto male, non lo hanno risarcito e lo hanno licenziato».
Malattie, straordinari, ferie. Niente di tutto questo veniva pagato?
«No, al massimo prendevo 1300 euro. Il discorso era proprio questo: progettare i tempi in modo che risultassero le otto ore, così poi non dovevano pagarti gli extra».
Nelle denunce si dice che vi facessero gli esami del sangue nella ferramenta del magazzino.
«Io li ho sempre fatti in laboratorio, tranne l'ultima volta che è stato in ufficio. È successo dopo che ci siamo iscritti al sindacato. Non volevano contestazioni e poco dopo ci hanno mandato via».
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