DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Antonio Gnoli per Robinson – la Repubblica - ESTRATTO
Oggi ha 92 anni e una storia gigantesca alle spalle. Prova ad accendersi una sigaretta. Si scusa per il fastidio che il fumo può arrecare: « Non sono mai scesa sotto un pacchetto», dice, quasi a voler giustificare il parossismo di una vecchia abitudine. C' è ordine e tristezza nel salottino dove mi ha fatto accomodare. Un pittore simil Grosz campeggia su di una parete: il quadro raffigura tre facce grottesche. Sembra alludere a Weimar o Berlino prima della catastrofe.
Un po' più in basso, nello scaffale tra i vecchi libri, una targa con incisa la dedica: a Carla Cohn, deportata a Terezìn: «Quello fu solo il penultimo atto di una storia che mai avrei immaginato: dopo Terezìn arrivò Auschwitz, con il penetrante odore della morte», ricorda disegnando una leggera smorfia che il fumo attenua.
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«A New York cercai lavoro nell' ambito medico. Fui assistente di un dottore ungherese esperto di inseminazione artificiale, poi di un noto otorinolaringoiatra e di un neurochirurgo. Infine ci fu l' incontro professionale che avrebbe cambiato la mia vita.
Con il dottor Max Schur che a Vienna era stato medico personale di Freud e lo aveva seguito a Londra nel 1938. Nel settembre dell' anno dopo Freud morì e Schur decise di trasferirsi con la famiglia a New York, dove lavorò come internista in un ospedale. Fu così che lo conobbi e che lo assistetti nel lavoro ospedaliero e in quello editoriale. Max era anche uno stimato analista, che aveva deciso di scrivere un libro sul suo rapporto con Freud. Una sera, mentre correggevamo le bozze del libro, mi parlò del "patto della morte"».
Un patto tra chi?
«Tra lui e Freud. Prima che diventasse suo medico, Freud gli confidò che cercava qualcuno che potesse aiutarlo a morire qualora la malattia gli avesse offuscato la mente. Sapeva che il cancro alla mascella, nonostante le cure, non gli avrebbe dato scampo. E infatti Schur mi raccontò dell' iniezione letale di morfina che liberò Freud dall' agonia».
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