DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Luigi Ippolito per il “Corriere della Sera”
Basta con le surfiste in bikini che ricevono più attenzione per i centimetri di pelle esposta che non per la loro abilità nel cavalcare le onde: è quello che pensa la surfista inglese Sophie Hellyer, 30 anni, che ha denunciato sulle colonne del Times la cultura «iper-sessualizzata» che circonda il suo sport. E che ha deciso di far seguire alle parole i fatti: ha smesso di esibirsi in striminziti costumini e ora cavalca le onde solo con indosso una muta da sub.
Ma ci sono delle conseguenze: «Chi veste una muta tutto l' anno riceve meno attenzioni dai media - ha rivelato Sophie -. Le cose sono legate? Probabilmente sì. Quand' è l' ultima volta che avete visto una donna in muta integrale su una rivista di surf?». La ragazza, che si è risentita per l' articolo del quotidiano pur senza smentirlo nella sostanza, ha anche accusato alcuni uomini nel suo ambiente di essere «incredibilmente irrispettosi». E infatti ai fotografi è stato ordinato di recente di non zoomare con gli obiettivi sulle surfiste in bikini.
Anche perché, guarda caso, gli atleti maschi ricevono un trattamento diverso. «Se zoomassero su un uomo che sta facendo una certa manovra per parlare della sua tecnica, allora va bene - ha fatto notare Sophie -. Ma se normalmente non zoomano, allora è per le ragioni sbagliate».
La sportiva si è anche lamentata della scomodità di surfare in bikini: «Personalmente non mi piace, è poco pratico. Si abbassa spesso, mi scotto al sole, scivolo per la crema solare e mi taglio in continuazione». Ma è evidente che sono altre le ragioni che impongono quel tipo di tenuta. Come conferma Nina Brooke, una artista del mondo del surf della Cornovaglia: «Le ragazze che indossano bikini piccoli e stretti vengono ritratte sulle riviste mentre quelle con le mute integrali non vengono degnate di uno sguardo. Mentre vedo tanti uomini in muta ottenere la stessa attenzione di quelli in shorts».
Ma c' è anche chi ribalta le accuse. Come il direttore della rivista di settore Steve England, che punta il dito sul modo in cui le surfiste donne promuovono la propria immagine sui social media.
«Direi che c' è sicuramente un problema nel modo in cui alcune surfiste influencer su Instagram si costruiscono un seguito basandosi su immagini in bikini succinti e ammiccando ai giovani ragazzi - ha contrattaccato -. Siamo nel 2018 e hanno il diritto di fare quello che vogliono, ma come padre di una surfista che ha osservato le donne battersi per anni per le pari opportunità, penso che facciano un cattivo servizio a se stesse e al loro talento sportivo. Non voglio che mia figlia dodicenne pensi che quelle foto riflettano la vita reale in termini di immagine di sé o di comportamento».
È il dibattito fra libertà di scelta e oggettificazione della donna, come si è visto nella recente polemica sulle foto dell' attrice Jennifer Lawrence, apparsa svestita fra uomini in cappotto. E d' altra parte la stessa Sophie in passato aveva posato in bikini per diverse campagne pubblicitarie: lei riconosce che ci sono molte contraddizioni nel suo sport, ma non condanna quelle surfiste che si mettono in posa su Instagram: «Non voglio criticare le altre donne, sono mie sorelle» .
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