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Leonard Berberi per "Il Corriere della Sera"
Dal boom allo «sboom». à già finita la «moda» delle sigarette elettroniche? A leggere le cifre, pare di sì. Giusto il tempo di introdurre nuovi termini come «e-cig» e «svapare». Di incuriosire per quel combinato di vapore acqueo, aromi, microprocessore, luce Led, batteria e nicotina.
E di vedere immortalati tanti vip con in mano questo congegno elettronico: da Lindsay Lohan a Kate Moss, da Sean Penn a Jack Nicholson.
Poi è arrivata la tassa governativa che, in Italia, le equipara alle «bionde» normali. E, denunciano le organizzazioni di categoria, ci si è messa pure «una pubblicità negativa». Così i segni più, anche a tre cifre, sono precipitati verso il meno. Tanto da spingere l'Associazione nazionale fumo elettronico (Anafe) a parlare di «omicidio premeditato». Mentre il sindacato Confesercenti dei rivenditori e produttori di vaporizzatori elettrici dice che il settore è «sotto attacco da parte del Fisco». Settore che, in Italia, occupa più di cinquemila persone in oltre tremila punti vendita da Nord a Sud.
Se nel nostro Paese gli «svapatori» hanno raggiunto quota 1,5 milioni (il 15% sul totale dei fumatori), sono i dati sui rivenditori a sintetizzare un mercato che, da giugno registra soltanto segni meno. A Genova, per esempio, ha chiuso il 20-25 per cento dei negozi. A Torino si è passati dal +71,9 per cento del 2012 al -2,4. Se poi si vanno a vedere le catene di franchising, ecco il bilancio parziale dell'Anafe: -123 punti vendita in soli due mesi (maggio-giugno), -99 per cento nella richiesta di nuove aperture.
«La seconda metà del 2013 andrà molto male, con cali tra il 50 e l'80 per cento», spiega Massimiliano Mancini, presidente dell'Anafe da poco entrata in Confindustria. Mancini è titolare di un'azienda che produce liquidi per le e-sigarette. Dice che il mercato estero va benissimo, «è quello italiano che è in forte contrazione». Colpa di una «pubblicità negativa» e di una «tassazione che dal 2014 passa a un totale di 80,5 per cento».
«I negozi piccoli chiudono - continua il presidente dell'Anafe - gli altri per ora resistono». Con il nuovo prelievo fiscale, poi, «a me, come produttore, conviene andare all'estero». Mancini dice che per ora non ci pensa a «delocalizzare». Ma, ammette, «più di un'azienda l'ha già fatto: ora lavora nell'Est Europa o in Francia. E questo vuol dire centinaia, migliaia di occupati in meno».
Secondo il ministero dell'Economia le sigarette elettroniche un impatto - negativo - l'hanno avuto: nei primi otto mesi di quest'anno le entrate dell'imposta sul consumo dei tabacchi sono calate del 6,1 per cento (-455 milioni di euro) anche «grazie» alle «e-cig».
Tutto questo succede quando oggi, al Parlamento europeo, ci sarà una «battaglia». Da un lato c'è la commissione Salute che chiede di assimilare le sigarette elettroniche a un prodotto medicinale e di venderle solo in farmacia da un certo tasso di nicotina in su. Dall'altro ci sono i «popolari» del Ppe, i liberal-democratici e i conservatori che vogliono continuare con il mercato libero.
Sullo sfondo c'è un'Europa che si muove in ordine sparso. In Italia - come in Germania, Bulgaria, Irlanda e Spagna - non c'è ancora un quadro normativo specifico. La Grecia ha deciso di proibirle in mancanza di un'autorizzazione del ministero della Salute. Belgio e Lussemburgo, invece, le considerano «prodotti del tabacco» se contengono estratti di tabacco e «medicinali» se contengono nicotina, ma non tabacco. Mentre in Francia le «e-cig» sono classificate come medicinali se superano i limiti di nicotina (10 o 20 milligrammi per millilitro).
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