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Franco Bechis per "Libero"
Visto che finora il governo era riuscito a mettere quasi un miliardo di tasse in più agli italiani dicendo che ne aveva tolte 3 miliardi, il Pd ha deciso di rincarare la dose: con un emendamento al decreto legge che abrogava la prima rata dell'Imu (prima escluso, poi ammesso a votazione), reintroduce 1,25 miliardi di euro di Imu sulla prima casa escludendo dalla tassa solo chi ha case con rendite catastali inferiori ai 750 euro annui. Se passa e si paga la prima rata, si pagherà anche la seconda, che varrà altrettanto: 2,5 miliardi di euro in tutto.
Siccome l'Imu prima casa valeva 4 miliardi di euro, quello sconto fiscale va in gran parte a farsi benedire. A quel punto il governo di Enrico Letta sarà simile in tutto e per tutto a quello di Romano Prodi del 2006 e quello di Mario Monti del 2012: ricordato più per la voracità tassatoria che per qualsiasi altra caratteristica. Siccome l'emendamento è stato presentato alla Camera dove il Pd da solo ha una maggioranza bulgara, sarà bene suonare il campanello di allarme.
Perché a questo punto rischia di finire sotto le macerie davvero l'unico provvedimento in cinque mesi che davvero non appesantisca le tasche degli italiani. Ieri peraltro è emerso con chiarezza quanto sia stata poco intelligente la stizza personale e politica grazie a cui Letta ha fatto saltare un decreto legge già scritto che avrebbe fatto evitare l'aumento dell'aliquota ordinaria Iva dal 21 al 22% a partire dallo scorso primo ottobre.
Il dipartimento delle Finanze ha infatti fornito i dati sulle entrate dei primi otto mesi 2013: non sono entusiasmanti in senso assoluto, perché riescono complessivamente a ridursi dello 0,2% rispetto al 2012. Ma sono quasi tragiche proprio alla voce Iva, crollata del 5,2% e di 3,7 miliardi di euro in valore assoluto.
Se c'era un momento sbagliato per fare scattare quell'aumento dell'aliquota e provocare una ulteriore riduzione dei consumi, era proprio questo. E ormai il pasticcio è stato fatto per piccole ritorsioni personali di Letta nei confronti di Silvio Berlusconi che pagano ora tutti gli italiani. Di fronte a risultati già molto negativi, il governo almeno sotto il profilo della propaganda, ha deciso di giocarsi la carta della riduzione del cuneo fiscale con la legge di stabilità per il 2014.
Un intervento da 5 miliardi di euro che secondo il tam tam dovrebbe fare pervenire in busta paga di una parte dei lavoratori circa 300 euro lordi all'anno, circa 23 euro lordi al mese compresa la tredicesima. Come si sa il cuneo fiscale è la distanza fra quanto riceve in busta paga il lavoratore e quello che invece lui costa all'azienda per le trattenute fiscali e le aliquote contributive da versare allo Stato. Negli ultimi anni l'unico ad avere provato a ridurlo è stato Romano Prodi.
La finanziaria del 2007 stanziò circa 13 miliardi di euro fino al 2009 da destinare al 60% alle imprese e al 40% ai lavoratori. Per le prime fu concesso uno sconto di 5 mila euro a lavoratore assunto a tempo indeterminato (la somma diventava di 10 mila euro per le imprese del Mezzogiorno), per i lavoratori un aumento delle detrazioni Irpef progressivo. Per contrasti con la Ue il provvedimento entrò in vigore nel luglio 2007, ma a fine 2009 quei 13 miliardi di sconti furono effettivamente accordati.
Risultato? Zero. Anzi, addirittura negativo: non migliorò la bilancia dei pagamenti, e già nel 2008 nonostante lo sconto fatto il differenziale del costo del lavoro fra Italia e paesi concorrenti era aumentato.
Fu spiegato con un errore del governo Prodi: quella somma diluita avrebbe dato effetti minori a quelli sperati, e comunque fu accompagnata da una rimodulazione delle aliquote Irpef e del sistema deduzioni/detrazioni che aumentò la pressione fiscale annullando i benefici della riduzione del cuneo. Il timore è che oggi Letta stia per compiere lo stesso identico errore: i 5 miliardi in tutto messi a disposizione per ridurre il cuneo sono troppo pochi, quasi un terzo di quelli utilizzati da Prodi.
E la pressione fiscale complessiva che accompagna quella misura come allora si sta alzando: Tares, service tax, Iva, accise etc... si mangeranno quasi tutto quel beneficio. Per capirlo meglio bisogna andare a leggersi pagina 50 della nota di aggiornamento del Def da poco presentato alle Camere dal governo.
Letta racconta i suoi decreti legge, sostenendo che avranno effetti decennali: dal 2013 al 2023. In quel periodo «sono stati finanziati interventi per circa 25 miliardi cui si è fatto fronte con corrispondenti idonee coperture finanziarie, di cui 20 miliardi reperendo risorse con aumenti di imposte e circa 7,5 miliardi attraverso riduzioni/rimodulazioni di spese».
Ecco i 25 citati non sono sconti fiscali (ci sono aumenti di spesa previdenziale ad esempio per il rifinanziamento della Cig in deroga e per gli esodati, solo per citare due casi importanti). Ma i 20 miliardi di euro di tasse sono sicuri. Con questo menù di contorno, quell'intervento sul cuneo fiscale è già morto prima ancora di nascere. E come chiedeva timidamente ieri il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, può servire solo se ammonta ad almeno a 10 miliardi.
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