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Stefano Zurlo per “il Giornale”
Il caos comincia dove inizia l' Italia. I furgoni, in cui gli svizzeri stipano i disperati acchiappati a ridosso del confine, superano la frontiera di Chiasso e depositano il loro carico umano negli uffici della polizia di frontiera tricolore.
Qui tocca agli agenti smistare eritrei, somali, etiopi e cercare una soluzione nel pastrocchio burocratico-legislativo-politico che regola quel che non si riesce a governare.
Il caos prosegue un paio di chilometri scarsi più in là, davanti alla stazione di San Giovanni.
I turisti americani e inglesi, quelli col cappellino e la guida fra le mani, quelli che hanno studiato l' Italia sui libri e pensano sia ancora quella del Viaggio di Goethe, scoprono che il Belpaese è anche altro: una distesa di profughi accampati sotto i portici, buttati sull' erba dei giardini, seduti dentro le tende che riempiono il piazzale.
«Cinquecento persone», conferma il responsabile diocesano della Caritas Roberto Bernasconi. Un' altra Ventimiglia che sta per esplodere. E i ragazzi che giocano a pallone davanti ai binari e sfiorano le famiglie americane cariche di valigie sono gli stessi fermati a Chiasso e rispediti indietro dalle autorità elvetiche.
Duecentoquaranta riammissioni, come le chiamano loro, in una giornata sola, millequattrocento dall' inizio del mese in un crescendo che fa paura.
E in un logorante gioco dell' oca che nessuno sa bene come fermare. Gli agenti di Ponte Chiasso provano a tracciare un bilancio provvisorio delle ultime 24 ore: «Cento profughi, scesi dai furgoni svizzeri e da noi fotosegnalati, sono stati caricati sui pullman, scortati da 20 poliziotti della Celere, e mandati a Taranto; molti minori sono stati affidati alla Caritas, gli altri li abbiamo lasciati liberi di andare dove vogliono, invitandoli a presentarsi all' ufficio Immigrazione dove naturalmente non si faranno mai vedere».
Il punto è che tutti vogliono andare in Germania, ma la Svizzera non li fa passare e se lo fa utilizza il contagocce. Così il cerino torna in mano agli italiani che pescano caso per caso soluzioni diverse, saccheggiano quel pastrocchio di leggi, regolamenti e norme pratiche che riguardano la materia.
«È dal 10 luglio che c' è questa emergenza e ogni giorno va peggio - dice Ernesto Molteni, segretario provinciale del Sap, una delle sigle più importanti fra i sindacati della polizia - noi abbiamo denunciato subito questa situazione fuori controllo ma per settimane si è cercato di minimizzare, come se il problema non esistesse».
E invece oggi tutti ammettono che la realtà è insostenibile: decine di minori bivaccano sotto le stelle, i volontari sostituiscono lo Stato, fin qui assente, e distribuiscono centinaia di pasti, i pullman portano a Taranto i profughi che scendono e riprendono la loro corsa verso Milano, Como e la Germania. «Abbiamo sedici anni e siamo scappati da Asmara in Eritrea - raccontano al Giornale due ragazzi fermi davanti ai taxi che aspettano i viaggiatori - siamo arrivati a Palermo con i barconi, è stato molto pericoloso, terribile, ma indietro non si torna. Oggi abbiamo provato a salire su un vagone ed entrare in Svizzera ma ci hanno bloccato e rimandato qua. Non importa. Domani ci riproviamo».
Questo è il quadro, mentre si susseguono i vertici istituzionali alla ricerca di una soluzione che non salta fuori. Quasi tutti i profughi, veri, presunti o fasulli, hanno presentato domanda di asilo e dunque non possono essere espulsi, ma visto che hanno lasciato i centri di accoglienza sono abbandonati a loro stessi.
«Espulsioni - conferma Molteni - non se ne fanno perché quasi tutta questa gente proviene dal Corno d' Africa e sulla carta ha diritto a rimanere qua. Ma i miei colleghi lavorano a ritmi infernali e in condizioni indecorose. Oggi sono stati segnalati diversi casi di scabbia e uno di sospetta malaria».
Intanto gli antagonisti convergono sulla città e i No Borders hanno riempito di scritte i muri. Altro lavoro per la polizia, già costretta a doppi e tripli turni. E a riempire le scartoffie che segnano il destino dei migranti: liberi di scappare per tornare ad essere inseguiti.
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