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MIRACOLO THAILANDESE – IL RITROVAMENTO DEI 12 CALCIATORI IN UNA GROTTA IN DIRETTA NAZIONALE: “SONO TUTTI VIVI”. MA COME HANNO FATTO? – GLI ESPERTI: “LA STESSA ACQUA CHE LI HA BLOCCATI PER 9 GIORNI LI HA SALVATI”. MA NON SONO ANCORA SALVI. PER TIRARLI FUORI CI VORRANNO 4 MESI... – VIDEO

 

1 - LA TORCIA DEI SUB INGLESI ILLUMINA LA GROTTA «LI ABBIAMO TROVATI, SONO TUTTI VIVI»

Francesco Giambertone per il “Corriere della Sera”

 

THAILANDIA RAGAZZI RITROVATI VIVI NELLA GROTTA

Tutta la Thailandia è davanti alla televisione a tifare per la stessa squadra di calcio, col fiato sospeso. Sono le 23 di lunedì sera quando Narongsak Osatanakorn in diretta nazionale fa esplodere il Paese in un' esultanza da finale dei Mondiali: «Li abbiamo trovati», dice il governatore di Chiang Rai, e sono «tutti vivi». I giovani calciatori impegnati nella partita della vita non sono ancora salvi, ma per oggi un miracolo può bastare.

 

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Quello che serviva dopo 9 giorni di interminabili ricerche per ritrovare i ragazzini rimasti intrappolati da un' alluvione nella grotta allagata di Tham Luang, nel nord del Paese. Senza contatti con il mondo esterno, senza cibo né acqua, se non quella sporca di fango che li ha tenuti sepolti sotto la montagna da sabato 23 giugno fino a ieri sera.

Quando il governatore che per giorni ha raccontato la «corsa contro il tempo e contro l' acqua» ha dato la notizia che tutto il Paese aspettava: «Li abbiamo localizzati. Danno tutti dei segni di vita». Respirano. E la Thailandia con loro.

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Per raggiungerli nel cuore dei 10 chilometri di lunghezza della cava ci è voluto un tempo infinito: 216 ore. Infinito per le famiglie dei giovani calciatori, accampate all' ingresso di quell' inferno di pietra tra lacrime, grida e preghiere buddiste da oltre una settimana, quando hanno scoperto che dopo l' allenamento i loro figli non erano tornati a casa, ma si erano infilati nel tunnel di roccia pronto a trasformarsi in una prigione fatale con la stagione delle piogge. Infinito per gli oltre mille soccorritori, tra militari e sommozzatori arrivati da Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia e Giappone, che insieme a cani, droni e pompe per drenare l' acqua dalla cava non si sono fermati un attimo.

 

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Un tempo infinito soprattutto per quegli adolescenti, tutti tra gli 11 e i 16 anni, ignari che per salvare le loro vite si fosse messa in moto la più grande operazione di recupero della storia della Thailandia.

 

Domenica era arrivata la prima svolta: approfittando di una giornata senza piogge i sommozzatori si erano fatti largo tra la melma aprendo un cunicolo lungo oltre 100 metri e avevano raggiunto un punto ancora inesplorato: «Ci stiamo avvicinando». Lunedì mattina l' accelerazione decisiva, grazie all' arrivo di 600 bombole di ossigeno con cui i sub della marina hanno potuto procedere senza mai tornare indietro.

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Alla fine hanno trovato i ragazzini dove speravano: a 400 metri dalla «Pattaya Beach», uno slargo asciutto a metà del percorso, sulla sinistra del grande bivio che separa i due rami principali della grotta. «Le operazioni non sono ancora finite», ha detto prudente ma commosso Narongsak, senza riuscire a spegnere l' euforia dei parenti che all' ingresso della cava continuano a piangere, finalmente di gioia.

 

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Ora viene la parte delicata, ha spiegato Anmar Mirza, massimo esperto americano di salvataggi in grotta, perché «bisogna decidere se curarli sul posto o provare a tirarli fuori subito, ed entrambe le operazioni possono rivelarsi molto pericolose». Portare cibo e medicine sul sito non è semplice, «ma i rischi nel far immergere in una cava chi non lo ha mai fatto è esponenzialmente maggiore». E nessuno di quei ragazzini, per quanto avventurosi e sportivi, ci ha mai provato.

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Fuori dalla grotta, vicino alle bici e alle scarpe da calcio che da 9 giorni aspettano il ritorno dei loro proprietari, è un grande abbraccio collettivo tra parenti, militari, giornalisti, volontari, monaci, professori. All' una di notte i genitori rivedono i loro figli per la prima volta, anche se solo in un video pubblicato su Facebook dai Navy Seal thailandesi: nel buio della grotta le torce di due sommozzatori inglesi illuminano i visi stravolti dei sopravvissuti, magrissimi ma coscienti, seduti gli uni accanto agli altri. «Grazie per essere venuti, ora portateci da mangiare», dice uno di loro. Indossano ancora le divise rosse del Moopa Fc, «il cinghiale». Le grandi squadre riemergono sempre.

 

2 - «METABOLISMO RALLENTATO E UMIDITÀ LI HANNO AIUTATI»

Laura Cuppini per il “Corriere della Sera”

 

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Come si può sopravvivere tanti giorni in una grotta senza cibo? «La resistenza del corpo umano è davvero imprevedibile, anche in condizioni estreme - risponde il professor Alberto Zangrillo, direttore del Servizio di Anestesia e Terapia intensiva dell' Ospedale San Raffaele di Milano -. Nel caso specifico di questa bellissima notizia, se confermata, voglio sottolineare due aspetti. Il primo è la capacità di termoregolazione: nell' ambiente c' erano evidentemente condizioni di temperatura e umidità compatibili con tale esigenza.

In secondo luogo, mentre si può tollerare un periodo anche prolungato di astinenza dal cibo, è impossibile sopravvivere se non è garantita l' idratazione.

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I ragazzini dunque hanno avuto la possibilità di bere. Anche l' acqua piovana permette di mantenere l' equilibrio elettrolitico, che garantisce il funzionamento di organi importanti, in primo luogo il cuore. Il fatto che stiamo parlando di soggetti che praticano sport ha certamente contribuito alla conclusione positiva». La mancanza di cibo potrebbe aver causato danni?

 

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«Possiamo presumere che il digiuno non abbia prodotto alcuna grave conseguenza a livello organico, perché il metabolismo ha funzionato in modo rallentato: i bambini hanno vissuto in una sorta di letargo. Peraltro alcune funzionalità vitali non hanno bisogno di apporto calorico: pensiamo per esempio a quelle di reni e cuore». Una volta estratti i sopravvissuti, che cosa si fa?

 

«Bisogna fotografare velocemente il loro equilibrio fisico-chimico - sottolinea Zangrillo -. Si fanno esami del sangue per verificare le funzionalità epatica, renale e cardiaca, quindi si ripristina l' adeguata temperatura corporea. È probabile che ci siano delle alterazioni: si ricorre a supporti somministrati per via endovenosa, dopo di che si procede con la ripresa dell' alimentazione normale».

 

3 – L' ACQUA SPORCA POTEVA UCCIDERLI E INVECE LI HA AIUTATI A SALVARSI

Francesco Grignetti per "la Stampa"

 

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La speranza, i soccorritori del mondo speleologico davvero non l' abbandonano mai. Perché sanno che l' organismo umano ha incredibili doti di resistenza. Ma anche loro, gli esperti del Cnsas (Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico), al nono giorno di ricerche nella grotta della Thailandia, avevano cominciato a temere il peggio.

 

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«Ovviamente non ne sappiamo niente», premette il dottor Livio Russo, medico esperto di soccorsi in grotta, vicedirettore della scuola che forma i soccorritori. «Ma se devo ragionarne in astratto, penso che quei ragazzi debbano ringraziare una serie di fortunate concomitanze: intanto le temperature di una grotta equatoriale sono molto diverse da quelle nostre; in Messico si va in grotta in maglietta, da noi con le tute adatte. E poi, la stessa acqua che li ha bloccati, ha permesso anche che avessero di che dissetarsi. Sicuramente sarà stata acqua sporca, con problemi da ingestione, con patologie da non sottovalutare, ma li ha tenuti in vita».

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Un' altra realtà

A chi resta bloccato in grotta, l' attende un' altra realtà. Diversa da quella normale. I problemi sono tanti e imprevisti. Racconta Roberto Carminucci, esperto in soccorsi speleosub, vicedirettore nazionale del Cnsas: «Il primo rischio è il freddo. In una nostra grotta la temperatura è stabile sul freddo, a seconda delle aree, da zero a dodici-tredici gradi. L' ipotermia è in agguato. Bisogna scaldarsi in qualche modo. E le cose possono andare peggio se si è bagnati, se i vestiti sono fradici».

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Ma se questo è un discorso valido in generale, probabilmente per i giovani calciatori thailandesi è stato il problema minore. «Il secondo problema è l' acqua. Evidentemente quei ragazzi si sono arrangiati. Il terzo problema è la luce. Dopo un po', le luci che ci si porta dietro si spengono e si piomba nel buio. A quel punto tutto diventa più rischioso, anche solo fare qualche passo per muoversi nella grotta, e l' attesa è più pesante dal punto di vista psicologico. Probabilmente hanno acceso la luce a turno. E infine l' aspetto forse più importante. Serve un forte autocontrollo per chi resta bloccato in attesa di soccorso. Il tempo là sotto non passa mai, ma guai a cedere al panico».

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Sopravvivere per 10 giorni

«Come abbiamo visto in tanti terremoti - riprende il racconto del dottor Russo - a certe condizioni favorevoli si può sopravvivere per tanti giorni. Fino a 10 giorni e anche più. Ho assistito a un caso limite, il recupero di un terremotato ad Haiti che è stato tirato fuori dalle macerie dopo 11 giorni. In quel caso, a fare la differenza è stata una cannella d' acqua che gli ha permesso di dissetarsi nonostante tutto».

 

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Naturalmente i soccorritori sanno che cambia tutto se si tratta di soccorrere una persona anziana o un giovane in piena forma. Quando quelli del Soccorso alpino vanno per boschi alla ricerca di un raccoglitore di funghi disperso, ad esempio, sanno per esperienza che è una corsa contro il tempo.

 

«Siccome si tratta di persone anziane, con acciacchi, è sufficiente una notte all' addiaccio, spesso con un arto fratturato, per causare un crollo fatale dei parametri vitali». Tutto il mondo attende ora con il fiato sospeso che l' operazione di salvataggio sia portata a termine.

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Finché i dispersi non saranno fuori, tra le braccia dei famigliari, non si potrà dare nulla per scontato. Se occorrerà passare per una zona allagata, dovranno immergersi. E non sarà una passeggiata. Specie se qualcuno di loro si fosse ferito.

 

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