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Alba Solaro per “Il Venerdì”
Una mattina dello scorso novembre, Catherine Dorion, 37enne parlamentare del partito democratico Québec Solidaire, si è presentata in aula con indosso una felpa arancione col cappuccio.
Se fosse arrivata in mutande probabilmente avrebbe scandalizzato di meno, ma era già da un po' che i parlamentari più conservatori sbuffavano di fronte alle sue t-shirt, i berretti di lana, le Doc Martens. L' hoodie (non esiste una parola italiana per indicare la felpa col cappuccio) però era diverso.
Non era semplicemente troppo informale. Rappresentava una sfida; e così sulla non proprio ignara Catherine è caduta una pioggia di accuse, l' invito a dimettersi in anticipo, il caso è finito sui giornali e ha fatto il giro del mondo. Tutto per una semplice felpa. Che tanto semplice non è, se si è pure meritata una mostra.
The Hoodie, inaugurata questo mese al Het Nieuwe Instituut di Rotterdam (fino al 12 aprile 2020), è un tour artistico-politico e multimediale nella storia dell' indumento più controverso e carico di simboli degli ultimi decenni.
Negli Usa non si entra in parlamento con le braccia nude; fino a tre anni fa in Inghilterra i deputati avevano l' obbligo della cravatta; in Italia lo scorso luglio si è polemizzato sulle parlamentari troppo scollate. Ma nel caso dell' hoodie il problema non è il dress code; è il significato che gli viene attribuito. Per questo Catherine Dorion è finita al centro di una rissa politica.
«La mia non voleva essere una provocazione, stavo solo cercando di essere me stessa» si è difesa, ma intanto era già partita la campagna di sostegno militante sui social con un hashtag inneggiante all' autodeterminazione: #MonCotonOuateMonChoix (la mia felpa, la mia scelta).
Nei paradigmatici strati di questo pezzo di cotone c' è spazio per tutti. La felpa nera dei blackblockers è anche quella che indossa l' idraulico che viene a ripararti il rubinetto o il rider che ti porta la pizza a casa; quella che mette Kim Kardashian per andare a fare shopping, e che ha protetto battaglioni di graffitari in azione.
Ed è il modello glitterato con 3 mila cristalli neri Swarovski e 15 mila paillettes, griffato Vuitton, che Timothée Chalamet (l' attore di Chiamami col tuo nome) ha indossato alla première inglese di The King, portandone in primo piano anche l' aspetto gender fluid. È tutto cominciato con la Champion, che negli anni Trenta ha lanciato il modello universalmente noto - la felpa grigio chiaro - per proteggere operai e atleti dal freddo. In quasi un secolo di storia, il modello è rimasto praticamente identico.
È quella la sua forza: l' hoodie è quanto di più basico ci sia: una tela vuota sulla quale scrivere di volta in volta la storia che si vuole. Lo avevano adottato i giovani giocatori di baseball o football nelle università americane, che poi lo regalavano alla fidanzata, come ci hanno mostrato milioni di film.
L'anno zero del suo ingresso nella cultura pop è il 1976. Esce Rocky nelle sale ed entra nell' immaginario collettivo Sylvester Stallone che in tuta e felpa con cappuccio grigio prende a pugni dei bei quarti di bue per allenarsi alla sfida mondiale - si riannoda così anche il cordone ombelicale con le origini working class della felpa.
Ma il boom vero nasce da un' altra parte; nella wasteland del Bronx, tra i ragazzini figli di immigrati caraibici o ispanici che organizzano bloc parties fuori dai campetti di basket, improvvisano break dance sui marciapiedi, affrescano con le bombolette i vagoni della metropolitana.
Sull' altra costa, in California, lo adottano gli adolescenti delle gang di skaters come i mitici Z-Boys che setacciavano le ville dei sobborghi alla ricerca di piscine vuote dove esibirsi. Sono loro a strapparlo al mondo del puro sportswear per farne un protagonista delle sottoculture giovanili, metterlo sulle copertine dei dischi - come i Wu Tang Clan con l' album d' esordio - o nei video, come il rapper LL Cool J in Mama Said Knock You Out (1990).
«L' hoodie è entrato e uscito continuamente nella mia vita di adolescente e di adulta» racconta Lou Stoppard, la curatrice della mostra di Rotterdam.
david cameron e il ragazzino con la felpa
«In Inghilterra intorno alla metà degli anni 2000 c' era stata un' ondata di panico sociale, l' hoodie era diventato il nemico n.1, i ragazzini che lo indossavano facevano paura. Le istituzioni avevano risposto con l' Asbo (anti-social behaviour order) che vietava di indossare l' hoodie in certi luoghi pubblici e certi orari. Per esempio nei centri commerciali».
È di quegli anni anche la campagna politica Hug a Hoodie (abbraccia un hoodie), che si rivelò un boomerang mediatico quando nel 2007 David Cameron andò a visitare uno slum di Manchester e finì fotografato con alle spalle il 17enne Ryan Florence che, felpa e cappuccio su, fa il gesto di sparargli alla testa.
«Lo sguardo dei media è sempre stato doppio. Da un lato l' hoodie messo all' indice come emblema di sovversione, microcriminalità.
Dall' altra le riviste di moda che lo indicavano come un capo chiave, il segno di quanto profonda fosse l' influenza dello streetwear sui brand di lusso».
L' evoluzione ulteriore è quella connessa alle nuove tecnologie: è diventato un classico della Silicon Valley da quando Mark Zuckerberg ha cominciato a metterlo ovunque per rimarcare la sua storia da ex studente; è diventato il capo cyberpunk per eccellenza, addosso a Mr Robot come all' eroina hacker di Millennium Lisbeth Salander; per i ribelli di Anonymous è l' arma di protezione contro l' invasione sociale della privacy e le telecamere di sorveglianza.
In mostra questo dualismo si riproduce nelle creazioni di brand come Vetements e Rick Owens messe accanto a opere d' arte, i video, le foto di Lucy Orta, David Hammons, Cambell Addy.
Una delle installazioni realizzate appositamente è il video dell' artista serbo-olandese Bogomir Doringer; un collage di immagini forti per dissezionare il modo in cui gli stereotipi legati all' hoodie sono stati formati e alimentati dai media. «Un aspetto importante» spiega Soppard «include esempi di tweet pubblicati in risposta alla morte di Michael Brown nel 2014.
Per evidenziare il ruolo dei media, i giovani di colore hanno iniziato a utilizzare l' hashtag IfTheyGunnedMeDown online, pubblicando coppie di loro immagini; alla cerimonia di laurea, al lavoro o ad un matrimonio, accanto alle foto che i media avrebbero probabilmente usato se fossero stati uccisi. In questi, indossano spesso catene d' oro e cappellini da baseball. Fumano o posano con l' alcol. In molti casi indossano una felpa con cappuccio».
Ne portava una anche Trayvon Martin, la sera del 26 febbraio 2012 a Sanford, in Florida. Trayvon, 17 anni, aveva accompagnato il padre a trovare la fidanzata in un quartiere residenziale.
Robert Zimmerman, un vigilante, gli sparò sostenendo che il ragazzo aveva un atteggiamento sospetto. Al telefono con il 911 disse che indossava «un hoodie scuro», come se questo bastasse a spiegare tutto. Da quella tragedia la felpa emerse come un nuovo simbolo.
Ci furono cortei ribattezzati Million Hoodie March, copertine come quella di Ebony magazine con Spike Lee e altre celebrities in felpa. A Rotterdam c' è un' opera di Devan Shimoyama, forse la più bella; si chiama February II ed è un grande hoodie a braccia aperte, tutto fatto di fiori di seta. Per non dimenticare Trayvon.
spike lee con il figlio jacksonrami malekmostra 'the hoodie' 1mostra 'the hoodie' 10mostra 'the hoodie' 9mostra 'the hoodie' 8mostra 'the hoodie' 11mostra 'the hoodie' 12mostra 'the hoodie' 13mostra 'the hoodie' 14mostra 'the hoodie' 3mostra 'the hoodie' 4mostra 'the hoodie' 5mostra 'the hoodie' 6sienna miller con la felpa anti brexit
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