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Paolo Berizzi e Piero Colaprico per “la Repubblica”
bossetti arrestato per l omicidio di yara gambirasio
C’è il mistero di una lettera con minacce di morte e con al centro il furgone: l’Iveco Daily a bordo del quale — secondo la Procura — Massimo Giuseppe Bossetti rapì Yara per poi trasportarla e ucciderla nel campo di Chignolo d’Isola. La missiva è stata sequestrata il 25 luglio dai carabinieri a casa del presunto killer assieme ad altri 33 reperti. «Ti impicco», «la pagherai cara». Sono frasi, composte con ritagli di giornale, che una mano anonima ha indirizzato al carpentiere accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio. Perché Bossetti viene minacciato di morte?
Il mistero della lettera è confluito nelle informative che i reparti investigativi di carabinieri (Ros) e polizia (Sco) stanno completando, dopo un lungo e meticoloso lavoro di “scavo” a ritroso, sul delitto della tredicenne di Brembate. Le relazioni, che arriveranno entro novembre alla Procura di Bergamo, contengono una sintesi dei tre anni e mezzo di indagini trascorsi dalla scomparsa di Yara (26 novembre 2010) all’arresto di Bossetti (16 giugno 2014): e dei quattro mesi successivi alla cattura.
LA FIRMA DIMENTICATA
Il gruppo misto di investigatori ricostruisce la cornice dentro la quale la Procura ha fissato le prove che — è convinto il pm Letizia Ruggeri — bastano a inchiodare Bossetti. Una cornice dove si incardina sì la “pistola fumante” del Dna trovato sugli slip di Yara, ma anche altro.
Per esempio il silenzio “anomalo” del muratore subito dopo la scomparsa della tredicenne; il suo “estraniamento” rispetto all’omicidio; le contraddizioni; le discrepanze tra il racconto del presunto killer e le testimonianze di moglie, fratello, commercialista, colleghi di lavoro.
Ma partiamo dal 26 novembre 2010: scomparsa e morte di Yara. Polizia e carabinieri — è un sigillo — annotano che Bossetti «ha eliminato arma e (altre) prove del delitto, ma non la sua firma (il Dna)», rivelandosi «soggetto capace di commettere un omicidio efferato per modalità e caratteristiche della vittima» (una ragazzina di 13 anni), «ma non così preparato, da un punto di vista criminale, da eliminare dalla scena del ritrovamento del corpo, e quasi certamente dell’omicidio, indumenti contenenti tracce biologiche significative a lui riconducibili ».
IL MUTISMO ANOMALO
Che cosa fa Bossetti nei giorni che seguono la scomparsa di Yara? Si chiude in un silenzio ritenuto “anomalo”. Tutta Italia parla di Yara: lui no. O comunque non in famiglia, non nella casa di Mapello che dista poco più di un chilometro da Brembate, il paese dove la ragazzina abita e sparisce nel nulla, e dove lo stesso Bossetti ha vissuto.
Il carpentiere, rilevano gli investigatori, si è «estraniato dall’episodio omicidiario», «non facendo menzione con nessuno rispetto a quanto avvenuto alla povera Yara, il cui cadavere in quei giorni non era stato ancora rinvenuto». Il “mutismo” post 26 novembre, oltre che da «riscontri telefonici» — c’è un vuoto di giorni nelle telefonate e negli sms con la moglie Marita Comi — è supportato anche da un’altra circostanza: le parole che Marita fa mettere a verbale il 23 giugno. «Mio marito non mi ha mai riferito di avere incrociato Fulvio Gambirasio».
Ecco un punto. Perché è “anomalo” il silenzio del muratore? Per almeno due motivi. Primo. Sarà lo stesso Bossetti, di fronte al pm Ruggeri e al gip Ezia Maccora, a ricordare invece di essere stato «molto colpito» dalla scomparsa di Yara; talmente colpito da meravigliarsi di come il padre «Fulvio Gambirasio (incontato da Bossetti su un cantiere, ndr) riuscisse a venire a lavorare... perché se fosse successo a me, io sarei andato in giro a cercare mia figlia...». Lo dice ai magistrati di avere incontrato Gambirasio, ma con la moglie in casa niente: nemmeno un accenno.
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Secondo. Dopo la rivelazione di Repubblica sulle ricerche online di Bossetti con parole chiave “sesso” e “tredicenni” su siti per pedofili, il muratore si giustifica: «Ho un figlio di 13 anni, volevo informarmi, capire...». Negherà, davanti ai pm, di avere mai visto video porno con minori («guardavo video su Youporn con mia moglie»). Ma in ogni caso: Bossetti non parla di una 13enne scomparsa vicino a casa sua, e però si interesserà a “sesso” e “tredicenni” perché ha un figlio di quell’età?
LA COPERTURA FIKRI
Tre anni e sette mesi. È il tempo trascorso dalla scomparsa di Yara all’arresto del suo presunto assassino. Soltanto otto giorni passano invece da quel maledetto 26 novembre 2010 al 4 dicembre. Altro snodo. Il marocchino Mohamed Fikri, operaio del cantiere di Mapello in cui erano state trovate tracce di Yara, viene arrestato per un’intercettazione telefonica sbagliata. Dopo due giorni Fikri viene scarcerato, ma resterà indagato (l’unico) fino al 12 agosto 2013.
Nella ricostruzione a ritroso, focalizzando sui giorni di Fikri, quelli in cui «i riflettori erano puntati solo su di lui», carabinieri e polizia evidenziano “l’estraniamento” di Bossetti. Che, sentendosi come al riparo, si chiude nel suo guscio. Un atteggiamento favorito «oltreché da una precisa determinazione del soggetto, anche da una sorta di copertura offerta dall’attenzione mediatica concentrata su un soggetto altro».
LA LETTERA DI MINACCE
“Ti impicco”. “La pagherai cara”. Scritto con ritagli di giornale. Destinatario delle minacce lui, Massimo Bossetti. La lettera la trovano i carabinieri a casa sua, il 25 luglio. Roba antecedente l’omicidio di Yara. Però interessante. Bossetti all’epoca fa denuncia, racconta di «discussioni accese» con la persona che gli ha venduto il furgone Iveco Daily, ora al vaglio dei Ris alla ricerca di tracce di Yara.
É il mezzo (inquadrato da più telecamere della zona) con cui il muratore — secondo la Procura — rapisce la vittima a Brembate. Non c’è nessun collegamento tra la lettera minatoria e l’omicidio di Yara. Ma che cosa spinse il mittente anonimo a minacciare addirittura di morte Bossetti? Il 6 agosto il pm Ruggeri ne ha chiesto conto all’indagato. Lui ha risposto così: «Non so chi è stato, ma ho avuto dei diverbi per il furgone con la persona che me l’ha venduto nel ’99».
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